Sant’Anselmo di Aosta


Sant’Anselmo di Aosta

Anselmo d’Aosta, noto anche come Anselmo di Canterbury o Anselmo del Bec, nacque ad Aosta tra il 1033 e 1034. La famiglia apparteneva alla nobiltà locale anche se la famiglia era in declino. Era comunque imparentata con la Casa Savoia e godeva di grandi possedimenti terrieri. Suo padre era longobardo, molto dedito agli affari, ma poco affettuoso verso il figlio; sua madre, apparteneva a un’antica famiglia nobile burgunda ed era una madre di famiglia particolarmente devota.

A 15 anni Anselmo espresse il desiderio di indossare il saio monastico, ma questa non era la volontà del padre perché voleva farne l’erede dei beni familiari e così, d’accordo con i monaci locali, non gli permise di entrare in monastero. Con il tempo il desiderio religioso di Anselmo diminuì, ma i rapporti con il padre divennero sempre più tesi così il giovane si recò in Francia. Durante il viaggio seppe dell’abbazia di Notre Dame du Bec fondata, nel 1034 in Normandia. Vi si recò anche perché vi insegnava Lanfranco di Pavia e entrò nell’ordine dei Benedettini. La sua capacità di studio fu immediatamente notata e così, quando il suo mentore, venne chiamato a Caen, dopo solo tre anni di monachesimo, divenne priore della nuova abbazia.

Furono anni in cui Anselmo cercò di conciliare la sua voglia di isolarsi con i doveri inerenti a carica. Fu in questi anni che iniziò a comporre le sue opere. Fu molto apprezzato dai confratelli per l’acutezza del suo pensiero, della sua vita virtuosa e della sua gentilezza nei raporti umani.

Nacque il questo periodo il suo rapporto con Cartebury, dove l’abbazia normanna aveva alcuni possedimenti. Andando a trovare Lanfranco, divenuto arcivescovo di quella città, ebbe modo di farsi conoscere ed apprezzare dai nobili inglesi e da Guglielmo il Conquistatore, Sotto Anselmo, l’abbazia di Bec divenne uno dei centri di studio e insegnamento più importanti d’Europa, attirando studenti da tutta la Francia, dall’Italia e da altri Paesi.

La morte di Lanfranco di Pavia segnò la sua vita successiva.  Guglielmo II d’Inghilterra confiscò i possedimenti e le rendite della sede arcivescovile di Canterbury e, per evitare contese non nominò un successore di Lanfranco. Quando Anselmo fu costretto a recarsi a Canterbury, nel 1092, alla vigilia della festa della Natività della Beata Vergine Maria, venne salutato entusiasticamente dalla folla come prossimo arcivescovo e il re gli negò il permesso di rientrare in Francia. L’anno successivo, però, re Guglielmo cadde gravemente malato e si convinse che la causa fosse la sua vita dissoluta così ordinò che Anselmo venisse nominato arcivescovo.

Anselmo tentò di rifiutare la carica, ma, vista l’irremovibilità del re, sottopose a Guglielmo le condizioni per accettare l’arcivescovato, vale a dire: che Guglielmo restituisse le terre confiscate; accettasse la preminenza di Anselmo sul piano spirituale; riconoscesse Urbano II come papa. Il re però accettò solamente la prima condizione e minacciò di sospendere l’investitura, ma fu costretto dalla pressione popolare. Solo dopo aver ricevuto dai confratelli la dispensa dai suoi doveri abbaziali a Bec rese l’omaggio feudale a Guglielmo, e il 25 settembre 1093 si insediò a Canterbury e il 4 dicembre dello stesso anno venne consacrato arcivescovo di Canterbury.

Ma il conflitto tra re e arcivescovo scoppiò subito dopo per il finanziamento di una campagna di guerra del re. Anselmo contribuì, ma diede una parte della somma ai poveri. I c onflitto ideologico, invece, scoppiò sul principio della separazione tra il potere temporale del re e il suo desiderio di controllare anche la chiesa, cosa che Anselmo negava recisamente.

Altro punto di frizione fu rappresentato dalla consegna del pallio episcopale che il papa avrebbe dovuto porre sulle spalle di Anselmo per confermare definitivamente la carica di Anselmo. Il re non concesse ad Anselmo il permesso di recarsi a Roma. Il papa mandò ad Anselmo dei messaggeri che gli recarono il pallio. Il re tentò di richiedere del denaro ad Anselmo in cambio del pallio e di ottenere di consegnarglielo personalmente, ma entrambe le cose furono rifiutate. Il legato pontificio dovette perciò depositare sull’altare il pallio e Anselmo lo indossasse da solo.

In seguito a una campagna fallimentare contro i ribelli gallesi, il re accusò Anselmo di non avergli fornito abbastanza truppe e lo convocò davanti ad un tribunale reale, nel 1097. Al rifiuto dell’arcivescovo seguì la sua richiesta di recarsi a Roma per chiedre consiglio al papa, ma il re prese la palla al balzo e gli impose o la partenza con la rinuncia alla carica o pagare  il risarcimento al re. Anselmo scelse l’esilio per ribadire la non sottomissione all’autorità terrena.

Nella primavera del 1098 arrivò a Roma e fu salutato dal Papa con grandi manifestazioni di stima e simpatia tuttavia Urbano II, per evitare frizioni con il re si limitò a redigere una lettera di rimostranze e invitò il sovrano a reintegrare l’arcivescovo nella carica.

Durante l’incontro ecumenico di Capua sostenne la tesi della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio con tale abilità da convincere i greco-ortodossi. la stessa assemblea avrebbe scomunicato re Guglielmo II se Anselmo non si fosse opposto.

La morte di papa Urbano II lasciò insoluta la questione del ritorno in Inghilterra di Anselmo.

Guglielmo II morì durante una partita di caccia nel 1100. Gli succedette il fratello minore, Enrico I, il quale invitò Anselmo a tornare in Inghilterra e si impegnò a farne un suo consigliere anche perché necessitava di sostegno per la sua rivendicazione del trono a discapito del fratello maggiore.

Il re però pretendeva da Anselmo l’omaggio feudale che lo sottomettesse al suo potere anche in campo spirituale, ma questo non era pensabile per Anselmo. Anselmo, tuttavia, favorì il Enrico sostenendolo contro i rivali e favorendolo nel suo matrimonio con Matilde di Scozia tanto da arrivare a far ritirare altri pretendenti al trono. I legati inviati a Roma per cercare un accordo tra il papa e il re tornarono però con due versioni totalmente diverse sulle investiture. Il re chiese allora ad Anselmo di recarsi a Roma per discutere la questione con il papa, ma questa era solo l’anticamera dell’esilio.

A Roma, Pasquale II ribadì la sua opposizione all’investitura degli ecclesiastici da parte dei laici e all’omaggio e neppure l’ambasciatore di Enrico ebbe risultati migliori. Mentre ritornava Anselmo ricevette un messaggio in cui il re lo metteva di fronte al fatto che o accettava le investiture o non avrebbe potuto tornare in Inghilterra.

Il papa scomunicò il consigliere del re e i prelati che avevano accettato l’investitura, ma si limitò a minacciare di scomunica il re, mentre Anselmo si recò in Normandia dal re minacciandolo direttamente di scomunica. L’incontro tra il re e Anselmo portò ad un compromesso: la scomunica del consigliere e degli altri funzionari venne revocata inoltre Enrico avrebbe rinunciato al diritto di investire gli ecclesiastici se Anselmo avesse ottenuto dal papa che agli ecclesiastici venisse consentito l’omaggio ai nobili laici, le entrate della sede arcivescovile di Canterbury furono restituite e venne confermato il divieto per i sacerdoti di prendere moglie. L’accordo venne, come da richiesta di Anselmo, ratificato dal papa, ma sia lui sia il pontefice lo considerarono un accordo temporaneo. Anselmo rientrò trionfalmente in Inghilterra nel 1107. Un’assemblea di vescovi e principi inglesi sancì che nessun vescovo avrebbe dovuto ricevere l’investitura da un laico e che il fatto di aver reso l’omaggio a un laico non avrebbe impedito a nessuno di ricoprire la carica di vescovo.

Anselmo morì il 21 aprile 1109, mercoledì santo, e venne sepolto nella cattedrale di Canterbury. Le sue spoglie vennero però esumate durante i disordini a sfondo religioso che ebbero luogo durante il regno di Enrico VIII d’Inghilterra e se ne persero le tracce.

Il processo di canonizzazione di Anselmo fu avviato da Tommaso Becket e venne portato a termine da papa Alessandro III nel 1163. Anselmo fu dichiarato dottore della Chiesa da papa Clemente XI il 3 febbraio 1720.

 

Per ovvie ragioni cronologiche l’abate Anselmo non aveva uno stemma proprio o di famiglia. Molto più tardi il monastero assumerà l’arma ispirata a quella del Regno di Francia, ma con il significativo campo rosso della Normandia. Lo stemma dell’abbazia du Bec si blasona « De gueules, semé de fleurs de lys d’argent »; in italiano: “Di rosso, seminato di gigli di Francia d’argento”.

 

 

Note di Massimo Ghirardi e Bruno Fracasso

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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Bozzetto originale acs/Pdc


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Profilo araldico


“Di rosso, seminato di gigli di Francia di argento”.

Note stemma


Lo stemma non è, per motivi cronologici, attribuibile a Sant’Anselmo di Aosta, ma è lo stemma che più tardi adotterà l’abbazia di Notre Dame du Bec nel quale si uniscono il rosso di Normandia e i gigli di Francia.

Colori dello scudo:
rosso
Oggetti dello stemma:
giglio di Francia
Attributi araldici:
seminato

LEGENDA

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