San Corrado Confalonieri


San Corrado Confalonieri

La famiglia Confalonieri è di antichissima origine, probabilmente legata all’officio di gonfaloniere, magistratura dei comuni medioevali. La presenza di questo ruolo ha consentito nel corso dei secoli una relativa diffusione del cognome in tutta Italia, sebbene le famiglie che portano questo cognome non sembrano essere imparentate tra loro.

Le due casate nobili di maggior rilievo sono quella dei Confalonieri di Piacenza (derivata dagli Obertenghi) e quella dei Confalonieri di Milano (derivata dalla famiglia Da Biassono di Brianza), dal quale derivano i Confalonieri di Candia Lomellina, casa detta anche solo Candia o famiglia da Candia.

 

Confalonieri di Milano

 

Il ramo milanese della famiglia Confalonieri fa risalire le proprie origini all’epoca dell’arcivescovo Ansperto (868-881), forse appartenente alla famiglia. Nel XIII secolo la casata divenne particolarmente nota perché un suo membro appoggiò gli eretici e venne coinvolto nell’assassinio del domenicano Pietro da Verona (san Pietro Martire). Successivamente la famiglia aderì al partito dell’arcivescovo Ottone Visconti, da allora rimanendo legata ai vescovi di Milano da un legame di particolare fedeltà (avevano il privilegio d’accompagnare gli arcivescovi di Milano nella loro entrata in città, ruolo esercitato ancora nell’insediamento dell’arcivescovo Ildefonso Schuster). Un ramo dei Confalonieri di Milano confluì nel XVIII secolo nei Cusani-Confalonieri, mentre continuò a fiorire il ramo detto “di Colnago” che ebbe titolo comitale nel XVII secolo. A quest’ultimo ramo appartenne il noto patriota Federico Confalonieri.

 

Confalonieri di Piacenza

 

Le prime tracce di questa famiglia risalgono all’XI secolo quando un tale Lantelmo viene indicato come vessillifero(sinonimo di “gonfaloniere”) del vescovo-conte di Piacenza Aldo Eugubino (1097), anche se si sostiene che avrebbero avuto origine dal ceppo di Milano distintosi all’epoca dell’insediamento di sant’Eustorgio, verso il 313, quando alcuni suoi membri avrebbero posto lo stesso Eustorgio, eletto dal popolo, sulla sedia arcivescovile, privilegio passato ai discendenti.

Sono documentati però esattamente dal 13 luglio 1136, quando tale Oberto Confalonieri è testimone di un atto di donazione del marchese Pallavicino all’abbazia cistercense di Chiaravalle della Colomba (vicino ad Alseno).

 

Anch’essi legati alla Chiesa ed al mondo comunale di Piacenza, ebbe tra i suoi membri la benedettina beata Adelasia Confalonieri (1193-1266), badessa di San Siro, e san Corrado Confalonieri (1284-1351). Nel 1393 il duca milanese Gian Galeazzo Visconti concesse ai Confalonieri di Piacenza l’investitura feudale delle terre di Celleri (Carpaneto Piacentino) che tenevano per conto del vescovo.

Arduino Confalonieri figura come rettore e console di Piacenza nella lega Lombarda al primo colloquio per la pace di Costanza e nel 1192 ottenne dal vescovo Tedaldo di Piacenza l’investitura delle decime di San Nazzaro, Polignano, Casaliggio, Pontenure, Torrano col titolo di feudo nobile e antico e dal medesimo vescovo ebbe il privilegio di introdurre a cavallo il vescovo della città, allorquando egli prendeva solenne possesso della Diocesi.

 

Il fratello della beata Adelasia, Jacopo, nel 1274 fu podestà di Siena, poi nel 1306 podestà di Bologna, egli sarebbe stato il padre di san Corrado, mentre la madre era una Landi. Corrado nacque a Calendasco (secondo altri nel castello di Celleri) verso il 1284 e da giovane si dedicò al mestiere delle armi, sposò Eufrosina di Nestore Vestarini, nobile lodigiana. Dopo un drammatico incidente di caccia da lui causato nel 1325, che provocò un grave incendio (la località, vicino Calendasco, è ancora oggi nota come “La Bruciata”), del quale venne incolpato e impiccato un innocente, si costituì facendosi condannare alla confisca dei beni, e fece voto di penitenza partendo in pellegrinaggio verso Roma, prima entrando nel Terzo Ordine Francescano presso il convento di Calendasco (anche la moglie entrò nelle carmelitane, ma all’età di sessant’anni).

Egli peregrinò a Roma, Palermo, Malta, a Palazzolo Acreide(dove gli abitanti, scambiandolo per una spia o un appestato, lo fecero inseguire dai cani), infine arrivò a Noto per incontrare l’eremita Guglielmo Buccheri (già scudiero di re Federico II d’Aragona), e dove morì il 19 febbraio 1351, nell’eremo presso una cava abbandonata in contrada Pizzoni  e in fama di santità, che lo faceva ricercare da molti per un consiglio o un conforto (avendo curato miracolosamente un’ernia a tale Antonio Sessa, diverrà protettore degli erniosi). Il culto fu approvato inizialmente da papa Leone X, confermato poi da Paolo III, infine Urbano VIII.

Seppellito inizialmente nella Chiesa di San Nicolò a Noto, secondo le sue volontà, in seguito, il corpo venne traslato nella Cattedrale di Noto dove è ancora venerato in un’urna d’argento.

 

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