Beato Gabriele Carlo Sforza


Beato Gabriele Carlo Sforza

Il cardinale Beato Gabriele Carlo Sforza nasce ad Aversa il 15 giugno 1423 dal celebre Muzio degli Attendolo detto “Sforza” e dalla sua terza moglie, Maria Marziani dei duchi di Sessa, contessa di Celano, fu chiamato Carlo per volontà della regina Giovanna II di Napoli che era figlia di Carlo III Dangiò di Durazzo.

Carlo seguì inizialmente la tradizione militare di famiglia, per poi abbandonarla in favore della carriera ecclesiastica facendosi frate dell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino, professando i voti nel monastero di Lecceto (Siena) nell’anno 1443 nelle mani del beato Girolamo Bonsignori.

Fu giudicato un uomo molto colto e dotto “scientiae, et professionis Theologicae eruditissimus, divinique eloquii praeco celeberrimus”.

Fino al 1449 rimase nel convento di Lecceto, ricoprendo la carica di maestro dei novizi, per essere trasferito nel monastero milanese di San Celso, ove risiedeva al momento della nomina ad arcivescovo di Milano, grazie alle pressioni del fratellastro Francesco, che era diventato duca nel 1450. Dopo la rinuncia dell’antagonista, Timoteo Maffei, venne nominato arcivescovo dal papa Niccolò V il 20 giugno 1454 e consacrato il 28 luglio.

 

Appena asceso alla cattedra ambrosiana e alla dignità cardinalizia, Gabriele fece pressioni sul fratello duca per la costruzione dell’Ospedale Maggiore (Cà Granda), su progetto del Filarete, per il quale ottenne da papa Pio II una bolla speciale, datata 9 dicembre 1458, che obbligava le varie istituzioni ospedaliere a confluire in questa nuova istituzione ecclesiastica, e lo dotò di rendite e di un “consiglio di amministrazione” formato da 18 membri dell’aristocrazia milanese.

Seguendo l’esempio del suo predecessore, a partire dal 1454, eseguì una serie visite pastorali nelle parrocchie della sterminata arcidiocesi di Milano, redigendo uno dei primi Stati diocesani con i resoconti di visite pastorali.

Nel 1455, appena asceso al trono pontificio Callisto III, al secolo Alonso Borgia, indisse una crociata contro i Turchi, per la riconquista di Costantinopoli caduta nel 1453 in mano ottomana, con l’ordine ai vescovi cattolici di leggere le lettere papali pubblicamente. L’arcivescovo Sforza si prodigò particolarmente nella lettura di queste, il giorno 20 settembre 1455, davanti al fratello duca e all’intera popolazione di Milano. Ma la crociata cadde nel vuoto a causa delle controversie tra i principi europei.

 

Durante il proprio incarico pastorale, Gabriele provvide a confermare tutte le esenzioni e i privilegi di cui godeva la Veneranda fabbrica del Duomo di Milano, elargendo anche a favore di essa grandi donazioni.

Dopo la sua morte, avvenuta il 12 settembre 1457 a Milano, a soli 34 anni, venne sepolto nella chiesa cittadina di Santa Maria Incoronata, eretta dal fratello e che egli stesso aveva consacrato, presso il convento omonimo ove risiedeva negli ultimi momenti della sua vita. Ancora oggi vi si può vedere il monumento funebre, attribuito a Francesco Solari.

Fin dal giorno dopo la sua morte gli agostiniani cominciarono ad attribuirgli il titolo di Beato e Filippo Sforza Cesarini, zio del duca Francesco, cercò di ottenere l’avvio per il processo di canonizzazione ma “non potendosi riunire tutte le prove, e documenti necessari a verificare il culto ab immemorabili, la cosa restò in sospeso“. Difatti, il nome di Gabriele Sforza non compare nel Martirologio Romano.

 

Lo stemma dell’arcivescovo è quello della sua famiglia: “Inquartato: nel primo e nel quarto, d’oro, all’aquila abbassata di nero, linguata di rosso e coronata del campo; nel secondo e nel terzo, d’argento, alla biscia d’azzurro ondeggiante in palo e coronata d’oro, ingolante un moro di carnagione (Sforza).”

© Massimo Ghirardi, 2024.

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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Bozzetto originale acs/Pdc


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Profilo araldico


“Inquartato: nel primo e nel quarto, d’oro, all’aquila abbassata di nero, linguata di rosso e coronata del campo; nel secondo e nel terzo, d’argento, alla biscia d’azzurro ondeggiante in palo e coronata d’oro, ingolante un moro di carnagione (Sforza).”

Colori dello scudo:
argento, oro
Partizioni:
inquartato
Oggetti dello stemma:
aquila, biscia, moro
Attributi araldici:
abbassato, coronato, ingollante, linguato, ondeggiante in palo

LEGENDA

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