Giovanni XXIII – Roncalli


Giovanni XXIII – Roncalli

Angelo Giuseppe Roncalli nacque a Sotto il Monte (Bergamo – Oggi Sotto il Monte Giovanni XXIII) il 25 novembre 1881, quartogenito di Giovanni Battista e di Marianna Mazzola, che ebbero dopo di lui altri nove figli, in una famiglia mezzadrile a struttura patriarcale di modeste risorse economiche, composta, alla sua nascita, da una trentina di persone.

Nel 1892 A. Roncalli entrò nel corso ginnasiale del seminario di Bergamo e vestì l’abito clericale nel 1895. Nel 1900 fu inviato, con una borsa di studio, a continuare gli studi teologici presso il pontificio seminario romano dell’Apollinare, interrotti tra il 1901 e il 1902 per il servizio di leva a Bergamo.

Fu ordinato sacerdote il 10 agosto 1904 nella chiesa di Santa Maria in Monte Santo.

Nel 1905, fu richiamato a Bergamo in qualità di segretario del nuovo vescovo G. Radini Tedeschi.

Chiamato alle armi nel maggio 1915, prestò servizio nella sanità in veste di sottufficiale e, dal 28 marzo 1916, come cappellano militare.

Chiamato nel dopoguerra a presiedere alla direzione spirituale del seminario vescovile. Al principio del 1921, assunse la carica di presidente del consiglio romano della Pia Opera per la propagazione della fede, destinata a occuparsi delle missioni. Il ritorno a Roma, in contatto con l’apparato di governo della S. Sede e con lo stesso pontefice Benedetto XV, che il 7 maggio 1921 lo nominò prelato domestico, impresse un nuovo corso alla sua esistenza.

Nel 1921, in ragione della nuova carica, intraprese un lungo viaggio in Francia, Belgio e Germania, con lo scopo di assicurare un miglior coordinamento romano delle attività locali a favore delle missioni e avviò una serie di visite nelle diocesi italiane per promuoverne l’impegno missionario. Scarsamente coinvolto dalle vicende politiche del dopoguerra, adottò al riguardo un atteggiamento di distacco pur asserendo di restare “fedele al Partito popolare”.

Designato alla carica di visitatore apostolico in Bulgaria, fu ordinato vescovo il 17 marzo 1925, ponendosi sotto il patronato di san Giuseppe, nonché di san Francesco Saverio, san Carlo, san Francesco di Sales, il beato Gregorio Barbarigo e assumendo come motto quello del Baronio (ma con i due termini invertiti) “Oboedientia et pax”.

Improntò la sua missione a rapporti di amicizia e di collaborazione con la Chiesa ortodossa autocefala bulgara e si adoperò per la realizzazione del controverso progetto di fondazione di un seminario cattolico in Bulgaria sostenuto dai fautori dell'”unionismo” in contrasto con la linea della latinizzazione delle Chiese orientali che poté inaugurare soltanto nel 1934.

Nel 1929, salutò con esultanza la firma dei Patti lateranensi.

Coinvolto in delicate vicende diplomatiche, il Roncalli vide ritardare oltre le attese, sino al settembre 1931, l’elevazione della sede di Sofia a delegazione apostolica e la propria conseguente promozione a delegato: il che confermò una sua intima impressione di essere stato emarginato dalla Santa Sede e acuì il suo senso di solitudine.

Nominato da Pio XI delegato apostolico a Istanbul alla fine del 1934, s’insediò con il titolo di arcivescovo di Mesembria, nel gennaio 1935. Approfondì la conoscenza della tradizione patristica d’Oriente, delle Chiese ortodosse e del mondo islamico. Nell’Epifania del 1939 accennò alle persecuzioni razziali.

Allo scoppio della guerra, che nel marzo 1940 il Roncalli prevedeva catastrofica per tutte le parti belligeranti, la sede di Istanbul divenne un nodo centrale della diplomazia e dello spionaggio internazionali.

Sul piano diplomatico adottò effettivamente una regola di equidistanza tra i rappresentanti degli Stati in conflitto, ma attivò, anche a fini umanitari, rapporti molto cordiali con le autorità militari italiane in Grecia dopo l’occupazione italo-germanica del paese. Nel 1939-40 aveva contato sulla non belligeranza italiana, attribuendone il merito a Mussolini, e salutandola come la ricompensa divina per la stipula della conciliazione; poi, fino all’inizio del 1943, aveva creduto nel “felice esito” del conflitto per l’Italia, accennando nei suoi dispacci a valutazioni azzardate sull’andamento della guerra in Nordafrica e in Russia. Alla notizia della caduta del regime fascista, ne scrisse ai familiari con tono di prudenza, giudicando favorevolmente l’evento come un passaggio avvenuto senza scosse “da una costituzione politica all’altra”.

Il principale campo di attività del Roncalli in epoca bellica fu, peraltro, quello umanitario, per il quale poté avvalersi delle sue buone relazioni con quasi tutte le parti in lotta contribuendo alla salvezza di molti ebrei nei territori dell’Europa balcanica occupati dai Tedeschi o alleati dei Tedeschi.

Affrontò con particolare determinazione il problema dei profughi in fuga e cercando di favorire il passaggio e l’asilo degli israeliti.

Nel dicembre 1944 fu raggiunto improvvisamente dalla notizia della sua designazione, avvenuta per diretta volontà di Pio XII, alla nunziatura apostolica di Parigi. Il Roncalli si sottopose a un tour de force aereo per giungere prima della fine del ’44 nella capitale francese, dopo essere stato ricevuto dal papa.

Portò anzitutto a buon fine la questione insorta a proposito dei membri dell’episcopato sgraditi al governo francese, sulla base di volontarie dimissioni di tre di loro e della contemporanea nomina di nuovi vescovi da parte della S. Sede.

Dalla documentazione disponibile non sembra che il nunzio Roncalli cogliesse appieno le implicazioni della Mission de Paris e dell’esperimento dei preti operai francesi, cui tuttavia, almeno agli inizi, manifestò incoraggiamento.

Interpellato dal sostituto della segreteria di Stato G.B. Montini, nel novembre 1952, circa la propria disponibilità al trasferimento nella sede patriarcale di Venezia, il Roncalli rispose positivamente, citando il proprio motto episcopale. Creato cardinale nel concistoro del 12 gennaio 1953 fece l’ingresso a Venezia il 15 marzo dello stesso anno. A 72 anni, il Roncalli iniziava il suo primo autentico ministero pastorale, proponendosi di seguire le orme di Pio X.

Nei cinque anni di servizio patriarcale ebbe modo di manifestare non solo le proprie doti personali, ma gli aspetti distintivi, non consueti nel panorama italiano e maturati in mezzo secolo di meditazioni, della propria concezione della Chiesa, dei suoi rapporti con la storia e con il mondo presente, giudicato senza preclusioni apocalittiche o preconcette avversioni. Le innovazioni introdotte dal Roncalli nel governo della diocesi andarono oltre i tratti di bonomia propri della sua indole. Si trattò principalmente di uno stile pastorale che assumeva come regola quella d’agire.

Nei confronti della situazione politica locale che portarono nel 1956 alla costituzione di una giunta amministrativa di centrosinistra, il Roncalli intervenne per moderare le reazioni ostili dell’episcopato triveneto, ma prese netta posizione contro l’apertura a sinistra.

Partito il 12 ottobre 1958 per il conclave convocato in seguito alla morte di Pio XII, vi entrò il 25 ottobre e ne uscì il 28 dello stesso mese eletto papa, dopo undici scrutini. Assunse il nome di Giovanni XXIII, con l’intento di riferirsi ai due Giovanni, il Battista e l’Evangelista e dando implicitamente per accertata la discussa illegittimità di quel Giovanni XXIII elevato al soglio pontificio nel 1410, nel pieno dello scisma d’Occidente.

L’elezione, avvenuta in un momento critico per la Chiesa cattolica e per l’ordine internazionale, colse di sorpresa Giovanni XXIII, ormai convinto di finire i suoi giorni a Venezia. In ragione dell’età dell’eletto, che aveva compiuto i 77 anni, del suo profilo pastorale, la scelta del conclave, su cui aleggiò il nome di un grande assente, l’arcivescovo di Milano G.B. Montini non insignito della porpora cardinalizia, venne universalmente interpretata sotto il segno della mediazione tra le diverse tendenze cardinalizie e della transitorietà. Viceversa si rivelò un pontificato di eccezionale rilievo storico, per quanto interpretato in modi diversi e contrastanti.

Giovanni XXIII enunciò sin dal discorso dell’incoronazione, il 4 novembre, lo spirito che intendeva imprimere al suo nuovo servizio, contraddicendo chi aspetta nel pontefice l’uomo di Stato, il diplomatico, lo scienziato, l’organizzatore della vita collettiva, ovvero colui il quale abbia l’animo aperto a tutte le norme di progresso della vita moderna, senza alcuna eccezione e richiamando

come primo suo compito quello del pastore di tutto il gregge. Dette rilievo alla cerimonia del proprio insediamento quale vescovo di Roma, nella basilica di San Giovanni in Laterano, il 23 novembre e incominciò a dedicare visite alla diocesi, privilegiando i luoghi di sofferenza, ospedali o carceri.

Nello stesso tempo G. avviò una normalizzazione degli organi centrali del governo ecclesiastico: nominò segretario di Stato D. Tardini, uno dei più stretti collaboratori di Pio XII; provvide alla creazione di 23 nuovi cardinali, tra i quali, oltre allo stesso Tardini, G.B. Montini, G. Urbani, C. Confalonieri, A. Cicognani, l’austriaco F. König, il tedesco J. Döpfner.

In seguito, Giovanni XXIII creò, a varie riprese, altri 22 cardinali, producendo un notevole ricambio e una ragguardevole estensione e internazionalizzazione del Sacro Collegio.

Ma la decisione più significativa, che doveva conferire un senso inatteso al suo pontificato, riconducibile alla sua personale iniziativa e da lui stesso rivendicata come atto preminente della propria giurisdizione, fu quella di convocare un concilio ecumenico della Chiesa. Ne dette l’annuncio il 25 gennaio 1959 ai cardinali ivi riuniti a conclusione di una settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, esprimendo anche l’intenzione di convocare un sinodo diocesano e di provvedere successivamente alla riforma del codice di diritto canonico. Sebbene le reazioni del Collegio cardinalizio a quel disegno risultassero alquanto fredde e preoccupate, Giovanni XXIII procedette sulla sua strada con determinazione.

Costituì il 16 maggio una commissione antepreparatoria composta da esponenti di Curia e presieduta da Tardini, con il compito di realizzare una consultazione dell’intero episcopato cattolico; e introdusse, il 14 luglio, una cesura nei confronti dell’incompiuto concilio Vaticano I, con lo stabilire che il futuro concilio si sarebbe denominato Vaticano II, smentendo l’opinione di chi riteneva ormai superata al vertice della Chiesa ogni dinamica conciliare.

Il 5 giugno 1960 pubblicò un motu proprio per la preparazione materiale del concilio; il 14 novembre insediò le nove commissioni preparatorie, istituite il 4 giugno e presiedute dai vertici delle congregazioni pontificie, delineando come compito precipuo del concilio quello “di rimettere in valore e splendore la sostanza del pensare e del vivere umano e cristiano di cui la Chiesa è depositaria e maestra nei secoli”.

Intrecciò relazioni con il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Atenagora, e ricevette la visita del primate anglicano G.F. Fisher. Affidò al gesuita tedesco A. Bea, appena elevato alla porpora ed esponente di spicco della linea di rinnovamento dell’esegesi biblica cattolica, la costituzione e la presidenza di un organismo interamente nuovo, indipendente dagli apparati di Curia e incaricato delle relazioni con le Chiese e denominazioni non cattoliche, il segretariato per l’Unità dei cristiani. Volle, infine, che fossero espunte le espressioni offensive per gli israeliti presenti nella liturgia cattolica della settimana santa e nelle rubriche del breviario e del messale.

Un altro aspetto di grande risalto istituzionale e simbolico fu la spinta impressa allo sviluppo autonomo delle Chiese extraeuropee, in conformità e indiretto sostegno al processo di rapida, e spesso drammatica, decolonizzazione.

Con la pubblicazione dell’enciclica “Mater et magistra”, sul magistero sociale della Chiesa, con richiami all’insegnamento di Leone XIII, di Pio XI e di Pio XII, che contiene spunti ed enunciazioni impegnative, come quelle concernenti il doveroso collegamento del salario all’apporto dei lavoratori alla produzione nazionale e l’opportuna assunzione, da parte delle “classi lavoratrici” e delle loro rappresentanze, di più ampie responsabilità nelle imprese e, più in generale, sul piano politico. Ma il testo dell’enciclica presentava il suo punto più originale quando individuava nel sottosviluppo e nei suoi rapporti con il mondo industrializzato “il problema dell’epoca moderna”.

Giovanni XXII era convinto che la propria opera dovesse collocarsi oltre la cura degli “affari terreni” e la sua parola avere come unica guida il Vangelo, che si leva “al di sopra di tutte le opinioni e i partiti che agitano e travagliano la società e l’umanità intera”.

Stabilita definitivamente, con il motu proprio del 2 febbraio 1962, l’apertura del concilio per l’11 ottobre, festa della Divina Maternità di Maria, ne ribadì in molteplici circostanze le prerogative di effettiva collegialità, di reale universalità e di libera responsabilità; e ne approvò in agosto il regolamento.

 

Esso prevedeva tra l’altro l’uso esclusivo del latino come lingua del concilio, sulla falsariga della lettera apostolica del 22 febbraio 1962, Veterum sapientia, che per il suo rigore tradizionalista nella delicata e controversa materia linguistica suscitò qualche sorpresa.

In uno stato di salute già gravemente compromesso da un tumore, Giovanni XXIII intraprese, alla vigilia del concilio, una peregrinazione apostolica, densa di richiami simbolici e dottrinali, al santuario di Loreto e alla tomba di s. Francesco ad Assisi, accompagnato e accolto da grandi manifestazioni popolari di affetto. Era il primo viaggio di un papa fuori dalle mura romane dopo la caduta del potere temporale. Quindi, l’11 ottobre, alla presenza di circa duemila vescovi e di una cinquantina di “osservatori” appartenenti a Chiese ortodosse e protestanti proclamò aperta l’assise conciliare con l’allocuzione programmatica “Gaudet Mater Ecclesiae”.

A conclusione della memorabile giornata, rivolgendosi alla folla radunata in piazza San Pietro e ai milioni di tele e radioascoltatori Giovanni XXIII pronunciò, improvvisandolo, un discorso ai “figliuoli di Roma”, ma rivolto in realtà agli uomini, alle donne e ai bambini di tutto il mondo, rimasto celebre per la sua straordinaria carica emotiva.

Ebbe un peso determinante la scelta del papa di interferire in misura marginale sullo svolgimento dei lavori sinodali, “per lasciare ai Padri la libertà di discussione e la possibilità di trovare la giusta via da sé”, limitandosi a intervenire sulle procedure e sull’articolazione degli organi conciliari.

L’apertura del concilio avvenne nel pieno della gravissima crisi tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nota come crisi di Cuba. In quell’occasione Giovanni XXIII mise in gioco tutta la propria influenza sulle due parti e sull’opinione pubblica mondiale, per favorire una soluzione pacifica e consensuale della crisi. Da quell’episodio prese le mosse una più intensa attività pontificia di relazioni con l’est europeo.

Il 9 aprile licenziò il testo dell’enciclica “Pacem in terris”, pubblicata l’11 successivo, indirizzata all’episcopato, al clero e ai fedeli di tutto il mondo, “nonché a tutti gli uomini di buona volontà”, documento cardine del suo pontificato, nella quale il discorso si sviluppava su tre piani interconnessi: i rapporti tra i cittadini e le autorità politiche, i rapporti tra le comunità politiche e i rapporti dei cittadini e delle comunità nazionali con la comunità mondiale. Il nocciolo dell’enciclica era l’affermazione di un ordine giusto voluto da Dio, incentrato sulla dignità dell’uomo, e gradualmente riflesso nella storia dall’evoluzione delle istituzioni umane.

Nei due mesi seguenti le condizioni di Giovanni XXIII si aggravarono rapidamente, mentre un’ondata di consenso e di affettuosa partecipazione alle sofferenze del pontefice spingeva con sempre maggior frequenza masse di credenti e non credenti a riunirsi spontaneamente in piazza San Pietro, a condividere le ultime ore della sua esistenza terrena, a offrire testimonianza silenziosa della straordinaria popolarità attinta da quell’uomo morente, quasi sconosciuto ai più all’atto della sua elezione, durante i quattro anni e mezzo del suo pontificato.

Giovanni XXIII morì nella Città del Vaticano il 3 giugno 1963, giorno di Pentecoste per il calendario liturgico della Chiesa cattolica. Fu beatificato il 3 settembre 2000.

Lo stemma papale non rispecchia alcuno stemma di famiglia, date le sue umili origini. Si tratta dello stemma del Comune di Sotto il Monte, differenziandosene solo perché non riporta il monte di tre cime ma due gigli, e nel capo riporta lo stemma patriarcale di Venezia. Il piccolo comune di Sotto il Monte ha ricevuto il titolo onorifico di città in ragione del fatto di aver dato i natali proprio a Giovanni XXIII.

Lo stemma si blasona: “Di rosso, alla fascia d’argento, alla torre al naturale chiusa e finestrata di nero attraversante sul tutto e accostata in capo da due gigli d’argento, col capo patriarcale di Venezia: d’argento, al leone alato passante, guardante e nimbato, tenente con la branca anteriore destra un libro aperto recante la scritta PAX TIBI EVANGELISTA MEUS, il tutto d’oro”.

 

 

Note di Bruno Fracasso

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

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“Di rosso, alla fascia d’argento, alla torre al naturale chiusa e finestrata di nero attraversante sul tutto e accostata in capo da due gigli d’argento, col capo patriarcale di Venezia: d’argento, al leone alato passante, guardante e nimbato, tenente con la branca anteriore destra un libro aperto recante la scritta PAX TIBI EVANGELISTA MEUS, il tutto d’oro”.

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