Pio VIII – Castiglioni
Pio VIII – Castiglioni
Francesco Saverio Maria Felice Castiglioni era il terzo di otto figli e nacque a Cingoli (Macerata), il 20 novembre 1761, dal conte Carlo Ottavio e dalla contessa Sanzia Ghislieri, nobili lombardi.
Fu seguito da vicino da uno zio sacerdote e da un istitutore, mentre il padre aveva una passione per la numismatica e per l’antiquaria che il figlio, ereditandola, avrebbe sviluppato tanto da meritare l’appellativo di “pontefice numismatico”.
Nel 1773, il Castiglioni entrò nel collegio Campana di Osimo, un istituto riservato ai figli dei nobili. Malgrado vi ricevesse, il 26 dicembre 1774, gli ordini minori, di fronte ai severi metodi educativi del collegio mise in mostra un carattere piuttosto indocile e una certa predisposizione alla vivacità così i genitori si persuasero a trasferirlo nel collegio pontificio Montalto di Bologna, dove un clima di maggiore apertura intellettuale sollecitò positivamente la personalità del ragazzo.
Affidato a due ex Gesuiti, il giovane, nell’ottobre del 1782, si risolse ad abbracciare il sacerdozio. Il 17 dicembre 1785, sarà ordinato sacerdote a Roma.
Sotto il profilo teologico, la frequentazione romana dei sostenitori del primato papale all’interno della gerarchia e della società civile lo portò a posizioni radicali in mmerito ma, ad evitare le rigidezze estreme dell’intransigentismo contribuivano la mitezza del suo carattere e un’innata inclinazione alla tolleranza umana.
Nel 1796, potè tornare nella natia Cingoli come prevosto del Capitolo della cattedrale. All’inizio del 1797, con la nomina a vicario della diocesi di Ascoli, il Castiglioni tornava al ministero sacerdotale vero e proprio. Costretto a fare i conti con le turbolenze della lotta per il controllo della penisola che metteva di fronte Francesi e coalizione antirivoluzionaria, diversamente dagli altri ecclesiastici non abbandona la città, ma, in un momento di debolezza accettava di firmare il giuramento civico che poi ritratterà nel dicembre 1799. Sul finire del 1797 era di nuovo a Cingoli come vicario generale e poi come prevosto.
Dopo la bufera rivoluzionaria viene promosso alla dignità episcopale che il neoeletto Pio VII gli fece pervenire, assegnandolo alla diocesi di Montalto. Sembra che il Castiglioni facesse parte della squadra di consulenti di cui Pio VII si sarebbe avvalso per preparare il concordato del 1801 con la Francia. Come vescovo diede un forte impulso alle pratiche religiose, incoraggiando tra le pratiche di culto soprattutto quella mariana, seguendo da vicino la formazione del clero e pretendendo da esso la massima severità dei costumi.
Ma ancora una volta fu interrotto bruscamente dai Francesi e dal giuramento di obbedienza e fedeltà a Napoleone che, annesse le Marche al Regno d’Italia il 2 aprile 1808, il clero fu costretto a prestare all’imperatore. Stavolta il rifiuto del Castiglioni fu netto. Colpito da un ordine di arresto, il 14 luglio 1808, dopo avere affidata la diocesi al vicario, dovette sottostare alla deportazione a Pavia e alla condizione di semilibertà in cui, nel chiuso di una casa religiosa, gli fu imposto di vivere, ma tenne ferma la propria volontà di restare fedele al papa e pagò l’implicita opposizione al regime peregrinando da una città all’altra: sballottato tra Pavia, Mantova (1810) e Milano (1813. Riacquistò la libertà nel maggio 1814 e fece ritorno a Montalto il 6 giugno. Per queste sue posizioni il Castiglioni venne promosso alla porpora cardinalizia che un Pio VII riconoscente decretò nel Concistoro dell’8 marzo 1816 affidandogli nel contempo il governo della diocesi di Cesena, la città che gli aveva dato i natali.
Il Castiglioni, viene poi chiamato a Roma dal segretario di Stato Consalvi come titolare della diocesi suburbicaria di Frascati, e gli venne affidata la carica di penitenziere maggiore. Il suo equilibrio e la sua esperienza di giudice gli fecero conferire la prefettura dell’importante Sacra Congregazione dell’Indice il 10 novembre 1821.
Nel susseguirsi di queste funzioni e di altre minori si arrivò all’elezione del successore di Pio VII, scomparso il 20 agosto 1823.
Interrotta la visita pastorale che aveva da poco iniziato nella sua nuova diocesi, il Castiglioni entrò in conclave in una posizione che, nonostante l’abbastanza fresca promozione cardinalizia, lo vedeva tra i favoriti sia perché si voleva che il papa defunto lo avesse designato alla successione sia perché pareva che la sua candidatura, valendosi del gioco dei veti incrociati, avrebbe potuto rappresentare un buon punto di mediazione tra le due correnti che tradizionalmente si contendevano il potere pontificio.
Legato infatti al Consalvi e come tale gradito alla Francia, il Castiglioni vantava buoni rapporti con gli intransigenti del Sacro Collegio, cosa che avrebbe dovuto rimuovere l’eventualità di un’opposizione da parte austriaca. Lo bruciò invece il troppo scoperto appoggio francese che lo rese sospetto a Vienna, ma ciò che soprattutto gli costò l’elezione fu il suo rifiuto di non rinnovare in caso di successo la Segreteria di Stato al Consalvi. Il nuovo pontefice fu dunque Leone XII della Genga e inaugurò una politica che per il suo carattere integralista difficilmente avrebbe potuto riscuotere l’approvazione del Castiglioni.
Al Castiglioni non restò altro che ritirarsi nel chiuso delle sue occupazioni pastorali e dei compiti di Curia, lasciando scorrere quel primo biennio di pontificato durante il quale Leone XII si sarebbe logorato nel vano tentativo di portare avanti la riscossa della Chiesa sul mondo moderno. Quando diventerà papa smantellerà l’operato del predecessore.
Il Castiglioni entrò nel secondo conclave della sua vita ad un’età ormai avanzata: aveva infatti da poco compiuto i sessantasette anni e, soprattutto, si trovava in condizioni di salute assai precarie. Il Castiglioni apparve papabile fin dalle prime votazioni, quando si trovò a competere soprattutto con il cardinale E. de Gregorio, l’uomo cui andavano i suffragi dello schieramento conservatore. A orientare le decisioni del conclave e a far sì che le preferenze della maggioranza dei cardinali ricadessero sul Castiglioni fu il cardinale G. Albani. Inoltre, i cardinali avevano tenuto conto della non lunga aspettativa di vita del Castiglioni per risolversi a far convergere sulla sua persona i quarantasei voti che il 31 marzo 1829 lo portarono sul soglio papale.
In tutta questa vicenda la Francia sembrò recitare un ruolo abbastanza marginale nonostante la pomposa orazione che il suo ambasciatore, il celeberrimo scrittore cattolico F.-A.-R. de Chateaubriand, aveva rivolto ai cardinali alla vigilia del conclave auspicando l’avvento di un papa capace di tenere la Chiesa al passo con i tempi; proprio Castiglioni gli aveva risposto delineando l’immagine di una Chiesa proiettata in un tempo più ampio del presente, più sollecita della salvezza spirituale dei fedeli che della loro felicità terrena, e dunque poco influenzabile dai disegni delle potenze.
Il fatto che il papa avesse optato per il nome di Pio apriva uno spiraglio su quelle che sarebbero state probabilmente le sue intenzioni di governo. Il papa dava un preciso segnale di voler superare di slancio il pontificato di Leone XII attraverso la ricomposizione cristiana della società attorno al primato del pontefice, ma con uno spirito pastorale.
Il pontificato iniziava insomma nel segno della continuità con Pio VII. Salendo sul trono, Pio VIII fu circondato subito di un alone di simpatia perché uomo di scienza.
Nessuno più di lui sapeva che il suo regno sarebbe durato poco, e forse fu per questo che sin dall’inizio ebbe le idee chiare su quelle che sarebbero state le linee guida della sua azione di governo: tener distinta la direzione spirituale del mondo cattolico da quella politica, riservando la prima alla propria competenza esclusiva e confidando la seconda al cardinale Albani.
Fissati tali capisaldi programmatici, Pio VIII si era incamminato sulla via delle riforme, senza staccarsi, per la verità, dalla logica antiquata dell’assistenzialismo e dei provvedimenti di blando incoraggiamento all’economia o di alleggerimento delle pastoie burocratiche. Forse la sua misura più efficace in politica economica fu il chirografo del 28 gennaio 1830 con cui si ristabiliva il tribunale di appello commerciale di Ancona e si acceleravano i procedimenti giudiziari in materia di scambi e traffici, avvantaggiando in tal modo uno dei comparti più dinamici dello Stato pontificio. Nell’insieme, sembra di poter dire tuttavia che il papa avesse scelto un profilo piuttosto basso e di moderato riformismo. Il papa puntava molto sulla ritualità, sul richiamo all’osservanza dei sacramenti, sul rilancio dei Gesuiti e sull’incremento delle vocazioni secolari e regolari; al contempo, promuoveva la canonizzazione di s. Alfonso de’ Liguori e favoriva la ripresa di una gerarchia francese più fedele a Roma.
Sul piano internazionale la sua innata prudenza lo portava a rispettare le istituzioni civili di ogni singolo Stato, prescindendo da un’origine eventualmente rivoluzionaria. Quando l’accordo non era possibile, alla rottura era sempre preferita una tattica temporeggiatrice che, senza dar l’idea della cedevolezza romana, lasciasse un margine alle trattative. Tanto che quando furono deposti i Borboni optò a favore di un rapido riconoscimento del nuovo sovrano, Luigi Filippo d’Orléans, anche se il suo potere derivava dal popolo e non da Dio.
Il 30 novembre 1830, logorato ormai nella fibra, P. si spegneva dopo una breve agonia iniziata con alcuni attacchi di asma e conclusasi con un collasso. Il suo pontificato era durato in tutto venti mesi. Fu sepolto nella basilica di S. Pietro, da dove, alla morte di Gregorio XVI, i resti mortali furono trasferiti nelle Grotte vaticane. Sempre a S. Pietro, in forza di una disposizione testamentaria del cardinale Albani, gli fu elevato, ad opera dello scultore P. Tenerani, un monumento funebre assai accademico nel suo neoclassicismo, ma fedele nella raffigurazione simbolica delle virtù, la Giustizia e la Prudenza.
Il suo stemma si blasona: “Di rosso, al leone d’argento sorreggente con le branche anteriori una torre d’oro, merlata alla guelfa, chiusa e finestrata di nero”.
Si tratta dello stemma di famiglia della famiglia Castiglioni, stemma che si differenzia solamente per la presenza di una corona sulla testa del leone.
Le armi sono identiche a quelle di Celestino IV – Goffredo Castiglioni, dove però il leone compare di oro e non di argento.
Note di Bruno Fracasso
Stemma Ridisegnato
Disegnato da: Massimo Ghirardi
Stemma Ufficiale
Logo
Bozzetto originale acs/Pdc
Altre immagini
Profilo araldico
“Di rosso, al leone d’argento sorreggente con le branche anteriori una torre d’oro, merlata alla guelfa, chiusa e finestrata di nero”.
rosso
Oggetti dello stemma:
branca, leone, torre
Attributi araldici:
anteriore, chiuso, finestrato, merlato alla guelfa, sorreggente
LEGENDA