San Romualdo degli Onesti


San Romualdo degli Onesti

Gli Onesti sono un’antica famiglia di origine germanica stabilitasi a Ravenna e, successivamente, a Forlì che portavano il blasone: “d’argento, al leone di rosso, tenente tra le branche una pigna d’oro” (Tavole Albriziane, Ravenna 1709)

 

San Romualdo nacque a Ravenna tra il 951 e il 953 dal duca Sergio Degli Onesti e Traversara Traversari.

Sergio degli Onesti era di stirpe franca, discendente di un Jeremias (o Geremia) duca di Colonia. Divenne duca di Ravenna. Da un nipote di Sergio, Geremia, ebbe origine la famiglia bolognese dei Geremei (dal quale discese anche la famiglia Da Polenta) e anche le famiglie germaniche della stirpe dei Franchi: Maffei, Buvatelli, Primadizzi e altre ancora originatesi in Bologna, tutte consanguinee fra di loro.

 

Romualdo Degli Onesti da giovane cercò la solitudine per praticare la sua devozione verso Dio.

 

Nel 972 si recò nella basilica di Sant’Apollinare in Classe per chiedere perdono di un omicidio commesso dal padre che aveva ucciso un cugino. Ebbe dinanzi all’altare la visione del santo e che lo convinse di farsi monaco nel monastero attiguo alla basilica dove però non venne accolto bene dai confratelli, dalla vita rilassata e poco consona alla Regola di San Benedetto. Si trasferì pertanto presso l’eremita Marino, in territorio veneziano, sottoponendosi alla sua guida spirituale. Qui conobbe l’abate Guarino, uno dei più importanti monaci riformatori del X secolo che convinse il giovane eremita, non ancora trentenne, a seguirlo nell’abbazia di San Michele di Cuxa (in catalano Sant Miquel de Cuixà), in Catalogna, dove Romualdo visse dieci anni e perfezionò la sua formazione.

 

Ritornato in Italia nel 988, si dedicò a vita eremitica nell’eremo di Pereo, sulla cosiddetta Isola delle Rose, presso Ravenna, dove venne eletto abate, carica alla quale rinunciò poco dopo per trasferirsi nel territorio del monte Fumaiolo dove fondò un monastero intitolato a San Michele Arcangelo.

 

A causa del suo rigore morale e disciplinare, venne cacciato “con belluino furore a vergate insieme ai suoi discepoli (da questo episodio si vuole sia determinato il toponimo attuale di Verghereto). Intorno all’anno 1001, il giovane imperatore Ottone III convinse l’eremita a divenire abate di Sant’Apollinare in Classe e di curarne la riforma; ma la sua vocazione era quella della solitudine e del rinnovamento della vita eremitica e quindi, dopo appena un anno, rinunciò all’incarico, e si recò nell’Abbazia di Montecassino, nel Principato di Capua.

Per un periodo visse in una grotta (attualmente chiamata Grotta di Romualdo) sul canale di Leme presso Rovigno in Istria. Intorno al 1014 Romualdo fondò un eremo a Sitria, alle falde del monte della Strega, tra monte Catria e monte Cucco, presso la frazione di Isola Fossara, comune di Scheggia e, dopo poco, vi aggiunse un piccolo monastero (cenobio) con una chiesa: l’abbazia di Santa Maria di Sitria. Rimase in terra umbra quasi sette anni.

Intorno al 1000, esplorando zone disabitate della dorsale appenninica fondò l’eremo di Camaldoli nel Casentino (Arezzo), che sarà casa madre della Congregazione camaldolese benedettina, che si proponeva la riforma dell’Ordine.

La sua biografia “Vita di San Romualdo”, fu scritta 15 anni dopo la sua morte da san Pier Damiani.

 

Romualdo visse circa 75 anni: morì ultracentenario in solitudine il 19 giugno tra il 1023 e il 1027 nell’Abbazia di San Salvatore in Valdicastro in località Valdicastro, vicino a Fabriano.

 

Fu beatificato appena cinque anni dopo la morte e fu dichiarato santo nel 1595, da papa Clemente VIII. Il suo corpo è, dal 1481, nella chiesa dei Santi Biagio e Romualdo a Fabriano, mentre il braccio, in un prezioso reliquiario d’argento, è nella cattedrale di Jesi nell’altare di San Biagio. È contitolare della basilica concattedrale di Sansepolcro, già abbazia camaldolese (fino al 1520).

 

Commemorato il 19 giugno, ricorrenza della morte di San Romualdo, in alcune località si festeggia anche il 7 febbraio secondo la data tradizionale della messa tridentina del rito romano.

 

 

© 2024, Massimo Ghirardi

Si ringrazia Maria Cristina Sintoni per la collaborazione

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