Sant’Ignazio di Loyola


Sant’Ignazio di Loyola

Lo stemma originario dei Loyola si blasona (in spagnolo): “De plata, una caldera pendiente de llares y asidos a ella, dos lobos empinados, todos de sable” che possiamo tradurre con “D’argento, a un calderone appeso ad una catena e a due lupi contro rampanti su di esso, il tutto di nero”.

Gli elementi “parlanti” dello stemma sono i lupi (lobos) e la pentola (ola o olla), da cui “lo lobos y la olla” e compaiono nello stemma di famiglia scolpito sulla casa torre nota proprio come “Lobos en la olla” o “Casa Solar”. Da ricordare la che la grafia antica del cognome era Lopez e lo stesso sant’Ignazio si firmò in gioventù “Iñigo López de Loyola”, Il calderone potrebbe alludere alla situazione economica della famiglia Loyola: il feudo di Loyola, anche se meno antico di quello precedente di Oñaz, godeva di “maggiori entrate e possedimenti”.

La tradizione famigliare vuole che le bande rosse sullo scudo oro siano state aggiunte dopo la partecipazione di Juan Pérez de Loyola e di altri sei fratelli, tutti della quinta generazione precedente a quella di Iñigo, alla battaglia di Beotíbar nell’anno 1321, e furono concesse dal re Alfonso XI di Castiglia.

Íñigo López de Loyola nacque nella casa-torre feudale di Loyola (Lobos-y-Ola), oggi nel comune di Azpeitia, nella provincia basca di Guipúzcoa, probabilmente il 23 ottobre 1491, figlio minore di tredici figli di di Beltrán Yáñez de Oñaz y Loyola e Marina Sáenz de Licona y Balda.

Il padre era stato soldato al servizio di Enrico IV Trastamara di Castiglia, dei re cattolici Ferdinando e Isabella e di Giovanni II di Castiglia; al fianco di re Ferdinando “il Cattolico” guidò l’assedio contro le città di Toro, Burgos, Loja (conquistata il 29 maggio 1486) e Vélez-Málaga. Per la sua fedeltà alla corona ricevette numerosi benefici dal re che lo nominò proprio vassallo e gli assegnò le rendite dalle ferriere di Barrenola e Aranaz e il diritto di patronato sulla parrocchia di Azpeitia.

La madre era figlia di Martín García de Licona de Balda, figura di alto lignaggio, cortigiano dei re di Castiglia e consigliere dei re cattolici.

Il primogenito dei fratelli di Íñigo, Juan Pérez, cadde in battaglia a Napoli, combattendo contro le truppe di Carlo VIII di Francia; degli altri non possediamo molte notizie: la maggior parte di essi sembra essere caduta in battaglia. Uno degli otto maschi, Pero da Loyola, nato poco prima di Ignazio, era stato l’unico a intraprendere la carriera ecclesiastica, esercitando il sacerdozio nella parrocchia di Azpeitia, patrocinata dalla sua stessa famiglia.

Svezzato da una nutrice nel casolare di Eguibar, vicino a Loyola, crebbe sotto le attenzioni del fratello Martín e della cognata Magdalena Araoz. Rimasto orfano dei genitori, nel 1506 venne mandato nella città di Arévalo, alla corte del ministro delle finanze del re Fernando il Cattolico, Giovanni Velázquez de Cuéllar per ricevere un’educazione cavalleresca e religiosa. Íñigo si mise in evidenza per la sua abilità nel suonare la vihuela, per il coraggio mostrato nei tornei e la sua maestria nel danzare.

Rimase in casa del Velázquez per undici anni, fino al 1517, trascorrendo una vita agiata, dedita ai banchetti, alla musica, alla lettura di romanzi cavallereschi e alla composizione poetica. Alcune fonti riportano che il giovane Íñigo nel 1515 venne perfino processato insieme al fratello Pero López per un fatto a noi oggi sconosciuto.

Con la morte del re Ferdinando la situazione della famiglia Velazquez precipitò in breve tempo. La regina Germana di Foix, seconda moglie di Ferdinando, sollecitò il nuovo giovane re, Carlo I (l’imperatore Carlo V, reggente per la madre, Giovanna “la Pazza”, figlia di Ferdinando e Isabella), a concederle le cittadine di Arévalo e Olmedo, che erano proprietà del ministro del Velázquez il quale, ritenendo tale decisione un sopruso e una violazione dei suoi diritti, si ribellò inutilmente al re perdendo ogni suo possesso per cui, rattristato anche per la morte del primogenito Gutierre si ritirò a Madrid dove morì qualche mese dopo, il 12 agosto 1517, mentre la moglie Maria passò al servizio dell’ormai reclusa e inabile regina Giovanna di Castiglia.

A ventisei anni Íñigo si trasferì a Pamplona presso Antonio Manrique de Lara, duca di Najera e viceré di Navarra, dove rimase per tre anni come cavaliere armato (mesnadero) al suo servizio, e durante il quale assistette allo sbarco della nave che conduceva in Spagna il nuovo re Carlo I, il futuro imperatore Carlo V d’Asburgo, allora appena diciassettenne. Alla partenza di questi per la Germania, dove lo attendeva la corona dell’impero, si diffusero moti di ribellione per le città ispaniche, irritate dalla preferenza che il re aveva dato al trono germanico a scapito di quello spagnolo, lasciandovi come suoi rappresentanti alti funzionari fiamminghi, invisi al popolo e alla nobiltà. Antonio Manrique, fedele al re, fu uno dei condottieri che diedero battaglia ai rivoltosi a fianco dei propri figli e dello stesso Íñigo che con questi partecipò e vinse l’assedio alla città ribelle di Najera. Don Manrique incaricò il fedele Íñigo della missione speciale di pacificare la provincia di Guipúzcoa. Compito che egli risolse nel migliore dei modi.

Enrico d’Albret, pretendente al trono di Navarra, appoggiato da Francesco I, approfittò della situazione per tentare di impadronirsi di Pamplona, che resistette sotto gli ordini di don Pedro de Beamonte, al quale si aggiunsero le milizie comandate da Íñigo e da suo fratello Martin de Loyola.

Sfortunatamente Martin, che pretendeva il comando delle truppe, di fronte al rifiuto del Beamonte, decise di ritirarsi con il grosso del suo esercito, lasciando in tal modo il fratello con pochi soldati, fatto che il 19 maggio 1521 permise la caduta della città e un proiettile colpì la gamba destra di Íñigo rompendogliela in più parti.

Dopo quindici giorni di degenza a Pamplona, Íñigo venne trasportato in barella alla casa paterna. Il suo stato era grave e più volte si temette per la sua vita. Ma si riprese, sopportando stoicamente interventi e dolore, a causa di ciò resterà zoppicante per il resto della vita. Nei giorni in cui fu costretto a un’esasperante immobilità, rimase a letto leggendo. Gli vennero dati la Vita Christi, del certosino Landolfo di Sassonia, e il Flos sanctorum, le celebri vite dei santi composte dal domenicano arcivescovo di Genova Jacopo da Varazze.

Cominciò pian piano a dedicarsi alla preghiera, alla lettura di testi sacri, alla meditazione, scrivendo alcuni appunti che in seguito avrebbero dato vita ai suoi Esercizi spirituali. Sognava di partire pellegrino per Gerusalemme e per realizzare tale desiderio, una volta ristabilito, si decise di partire pellegrino per i santuari mariani della Spagna, con una particolare sosta presso il celebre santuario dell’abbazia benedettina di Montserrat presso Barcellona dove, durante una vera e propria “veglia d’armi” dedicata alla Madonna, come un antico cavaliere appese i suoi paramenti militari davanti a un’immagine della Vergine Maria e da lì, il 25 marzo 1522, entrò nel monastero di Manresa, in Catalogna, dove assunse il nuovo nome di Ignacio (Ignazio), probabilmente per la sua speciale devozione verso sant’Ignazio di Antiochia oppure perché pensava che fosse una variante del suo nome (in realtà, Íñigo è la forma basca di Innico o Enecone, che gli era stato imposto in omaggio a sant’Enecone, abate benedettino di Oña, il cui culto era particolarmente sentito nella sua terra di origine).

A Manresa Ignazio praticò un severo ascetismo che causò un indebolimento del suo fisico e dello spirito tanto da indurlo a pensare al suicidio. Fu in questo periodo di penitenze, digiuni e rimorsi per la vita passata, che Ignazio ricevette una “grande illuminazione” un giorno mentre meditava presso il fiume Cardoner.

Nel 1523 raggiunse Venezia e si imbarcò per Gerusalemme, dove visitò i luoghi santi. Dovette però abbandonare il progetto di stabilirsi in Palestina e di operare la conversione degli infedeli in Oriente per il divieto di soggiorno impostogli dai frati francescani dalla Custodia di Terra Santa.

Tornato in Spagna con il desiderio di abbracciare il sacerdozio, riprese gli studi a Barcellona, poi presso l’Università di Alcalá dove, per il suo acceso misticismo, fu arrestato e tenuto in carcere dall’Inquisizione per quarantadue giorni. Si trasferì quindi a Salamanca e poi, per completare la sua formazione, a Parigi, dove arrivò il 2 febbraio 1528. S’iscrisse all’Università, dove rimase sette anni, ampliando la sua cultura letteraria e teologica, e cercando di interessare gli altri studenti ai suoi “Esercizi spirituali”. In questo periodo progettò di fondare un nuovo ordine religioso libero dalle regole claustrali, che esercitasse praticamente il cristianesimo, servendo ai grandi scopi della Chiesa.

Il 15 agosto del 1534 Ignazio e altri sei studenti il francese Pierre Favre, gli spagnoli François Xavier (Francesco Saverio), Diego Laínez, Alfonso Salmerón, Nicolás Bobadilla e il portoghese Simão Rodrigues si incontrarono sul colle di Montmartre, di Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà, castità e obbedienza e fondando un ordine a carattere internazionale chiamato con un termine militare, la Compagnia di Gesù, allo scopo di eseguire lavoro missionario e di ospitalità a Gerusalemme o andare incondizionatamente in qualsiasi luogo il Papa avesse ordinato loro. Compare in quest’occasione, sia pure marginalmente, un quarto voto che si aggiunge ai soliti tre monacali: quello della assoluta obbedienza al papa che richiama il valore militare della disciplina.

Nel 1537 Ignazio e i suoi seguaci si recarono in Italia per ottenere l’approvazione papale per il loro ordine religioso da papa Paolo III Farnese, il quale consentì loro di ricevere l’ordinazione sacerdotale che ottennero a Venezia dal vescovo di Arbe (ora Rab, in Croazia) il 24 giugno. Si dedicarono alla preghiera e ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto tra l’imperatore, Venezia, il Papa e l’impero ottomano rendeva impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme.

Con Faber e Lainez, Ignazio si diresse a Roma nell’ottobre del 1538 per fare approvare dal Papa la costituzione del nuovo Ordine, Paolo III emise la bolla Regimini militantis Ecclesiae il 27 settembre 1540, ma limitò il numero dei suoi membri a sessanta; limitazione che venne rimossa con una successiva bolla, la Iniunctum nobis, del 14 marzo 1543. L’ultima e definitiva approvazione della Compagnia di Gesù fu data nel 1550 con la bolla Exposcit debitum del papa Giulio III Della Rovere.

Cone emblema dell’ordine venne scelto un disco raggiante e fiammeggiante caricato dal monogramma cristologico IHS (Jesus Homimun Salvator) dove la lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi della Passione.

Ignazio, eletto come primo Preposito Generale della Compagnia di Gesù, inviò i suoi compagni come missionari in giro per tutto il mondo per creare scuole, istituti, collegi e seminari; molti sovrani dell’epoca ebbero come confessori e padri spirituali i padri gesuiti che ebbero modo così di influire sulle condotte politiche dei governi.

Nel 1548 vennero stampati per la prima volta gli Esercizi spirituali, per i quali venne condotto davanti al tribunale dell’Inquisizione, per poi essere rilasciato.

Sempre nel 1548 Ignazio fondò a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso Primum ac Prototypum Collegium ovvero Messanense Collegium Prototypum Societatis, prototipo di tutti gli altri collegi di insegnamento che i gesuiti fonderanno con successo nel mondo facendo dell’insegnamento la marca distintiva dell’Ordine.

Ignazio scrisse le Costituzioni, adottate nel 1554, che creavano un’organizzazione di tipo piramidale e spingevano per un’abnegazione e un’obbedienza assoluta al Papa e ai superiori (perinde ac cadaver, “[lasciati guidare] come un cadavere” scrisse Ignazio). La regola di Ignazio diventò il motto non ufficiale dei gesuiti: Ad maiorem Dei gloriam.

Ignazio soffriva di una acuta calcolosi biliare (colecistopatia) e la sera del 30 luglio del 1556 sentendo prossima la morte, chiese i conforti religiosi e la benedizione del papa (ma il suo segretario rimandò la soddisfazione del suo desiderio al mattino dopo, cosicché Ignazio morì, senza ricevere l’unzione degli infermi, la mattina del 31 luglio). Venne sepolto il 1º agosto nella chiesa di Santa Maria della Strada a Roma.

Venne canonizzato il 12 marzo 1622, insieme a Teresa d’Avila, Francesco Saverio e Filippo Neri. Il 23 luglio 1637 il suo corpo fu collocato in un’urna di bronzo dorato, nella Cappella di Sant’Ignazio della Chiesa del Gesù in Roma. La statua del Santo, in argento, è realizzata da Pierre Legros. La festa religiosa viene celebrata il 31 luglio, giorno della sua morte.

Note di Massimo Ghirardi

Stemma Ridisegnato


Disegnato da: Massimo Ghirardi

Stemma Ufficiale


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Bozzetto originale acs/Pdc


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Profilo araldico


“D’argento, a un calderone appeso ad una catena e a due lupi contro rampanti su di esso, il tutto di nero”.

Oggetti dello stemma:
calderone, catena, lupo
Attributi araldici:
appeso, controrampante

LEGENDA

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