Cadore
Il Cadore (Ciadore, in ladino) è una regione storica e geografica in gran parte situata nella parte alta dell’attuale provincia veneta di Belluno, e in minor parte nella regione Friuli-Venezia Giulia. Interamente appartenente alla zona montuosa delle Dolomiti Orientali.
Il toponimo, Catubriæ in latino, secondo il glottologo Giovan Battista Pellegrini, è di origine celtica e deriverebbe da catu (battaglia) unito a brigum (roccaforte) attribuito probabilmente all’attuale Monte Ricco, dove esisteva un “castelliere” della tribù celtica dei Catubrini, che hanno dato il nome alla regione.
La prima menzione documentale del nome Catubrini risale ad un’epigrafe sepolcrale del II secolo d.C. ritrovata a Belluno nel 1888, in cui tale Marcus Carminius (cives romano della tribù Claudia), compare come ‘patrono’.
Viene generalmente suddiviso nei sub-territori:
- Comelico superiore o Alto Cadore
- Comelico
- Sappada (zona di cultura carinziana, aggregata al Cadore nel XIX secolo)
- Centro Cadore o Alta Valle del Piave
- Val Boite, comprendente l’Oltrechiusa e l’Oltremonti
- Misurina
Il comune di Cortina d’Ampezzo, nei documenti antichi Ampitium Cadubri, che fa parte del Cadore geografico, fu distaccato politicamente dal Cadore e dalla Repubblica di Venezia per conquista da parte di Massimiliano d’Asburgo nel 1511, ed è rimasto fino al Trattato di Saint Germain del 1919 aggregato al Tirolo asburgico.
I Romani dal 115 a.C. sottomisero il territorio alla Regio X “Venetia et Histria” con capoluogo Aquileia, municipium Julium Carnicum, con la concessione della cittadinanza e l’aggregazione alla gens Claudia nel 15 a.C.
Il Cadore fu oggetto delle scorrerie degli Eruli (476-493), poi degli Ostrogoti (493-553), i Bizantini (553-568) ed i Longobardi (568-774): durante il lungo dominio di questi ultimi vennero istituite le Regole.
I Franchi (774-884) aggregarono inizialmente la regione alla Marca del Friuli, poi al Ducato di Carinzia (884-1077), verso la fine del X secolo alcune zone erano governate per mezzo di un rappresentante dal vescovo di Frisinga (Freising).
Nel 1077 l’imperatore Enrico IV creò il principato-vescovile del Patriarcato di Aquileia, attribuendo al patriarca Sieghard von Beilstein poteri temporali su un vasto territorio, comprendente anche il Cadore, che era già ecclesiasticamente soggetto al vescovo di Zuglio (Julium Carnicum), suffraganeo d’Aquileia fin dal 717.
Nel XI secolo è istituito l’Arcidiaconato del Cadore, una delle quattro ripartizioni della Diocesi aquileiense. Il Patriarcato concesse il Cadore in epoca successiva in vassallaggio ai nobili Colfosco (ramo dei conti di Collalto) che, nel 1138, lo passeranno per via ereditaria diretta ai Guecellone II da Camino (figlio di Gabriele I da Camino e di Metilda di Collalto, la quale aveva ricevuto in eredità dallo zio materno Alberto di Collalto la Curia del Cadore), lo manterranno fino al 1335, anno dell’estinzione della linea maschile di questo casato di origine longobarda.
Attorno al XIII secolo si consolida l’uso degli Statuti concessi dai signori, e le Regole (denominazione delle comunità di villaggio cadorine) si federarono dando origine alla Magnifica Comunità di Cadore, che ottenne dal conte Biaquino III da Camino gli «Statuta de Cadubrio».
Con la morte in battaglia nel 1335 del conte Rizzardo III da Camino, senza eredi maschi, cessò la signoria caminese ed il Cadore tornò sotto il diretto governo dei Patriarchi. La popolazione cadorina chiese però di assumere il patrocinio (dato che i governanti laici governavano i territori in virtù di una “delega” dei prelati religiosi) alle tre figlie di Rizzardo: Caterina, Beatrice e Rizzarda, e con ciò anche la potestà feudale.
Dal 1337 al 1347 i cadorini firmarono un patto con Giovanni Enrico di Lussemburgo, duca di Carinzia e conte del Tirolo, e il fratello Carlo, re di Boemia (futuro imperatore Carlo IV), passando sotto la loro protezione al fine di garantirsi l’autonomia amministrativa. Nel frattempo la Magnifica Comunità promulgò gli Statuti Cadorini nel 1338 e, nel 1341, i conti del Tirolo Margherita (erede del Tirolo, nota come Maultasch: ossia “bocca a tasca”) e Ludwig di Brandeburgo ne recepirono il protettorato in nome del patriarca e dell’imperatore.
Il Cadore ritornò nel 1347 nuovamente sotto il diretto governo del Patriarcato, sulla cattedra di Aquileia sedeva allora il francese Bertrand de Saint-Geniès (Bertrando di San Genesio), che visitò Pieve nel mese di maggio (precauzionalmente accompagnato da un nutrito gruppo di armati), e riconobbe la validità degli Statuti e il sistema di autogoverno locale. Il 1347 è quindi un anno fondamentale per le istituzioni cadorine, che perdureranno fino al 1420, anno in cui la Repubblica di Venezia pose fine al potere temporale dei patriarchi.
Alla caduta del potere temporale dei Patriarchi, in seguito alla Guerra tra Repubblica di Venezia e Regno d’Ungheria, i cadorini, dopo aver chiesto ed ottenuto di sciogliere formalmente il giuramento di fedeltà al Patriarcato di Aquileia, nel 1420 votarono all’unanimità la loro Dedizione alla Serenissima (celebrata anche in un noto quadro del cadorino Tiziano Vecellio). La Comunità venne inquadrata nel Reggimento del Cadore, ma ottenne in cambio un’ampia autonomia amministrativa e il rispetto degli Statuti.
A quei tempi il Cadore era diviso in dieci Centenari:
- Pieve (di Cadore), con ruolo di capoluogo e sede del Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore, nel quale si riunivano i membri eletti dalle 27 Regole delle comunità di villaggio
- Auronzo
- Comelico Superiore
- Ampezzo
- Oltrepiave
- Domegge
- Valle (di Cadore)
- Venas
- San Vito
Nel 1507 Massimiliano d’Asburgo non ottenne dalla Serenissima il permesso di attraversare il Cadore in armi per recarsi a Roma per essere incoronato imperatore. Ne seguì un conflitto armato nel quale gli imperiali vennero sconfitti, in pieno inverno, dai veneziani guidati da Bartolomeo d’Alviano.
Nel 1509 le truppe imperiali, ritornate per vendicarsi, subirono una nuova sconfitta.
L’inimicizia ebbe il suo peso nel trattato di pace al termine della Lega di Cambrai, che coinvolse il Cadore, nella stipula del trattato Massimiliano I, che aveva conquistato il castello di Botestagno e Pieve, nel 1511 ottenne l’Ampezzano, al quale l’imperatore concesse un’ampia autonomia e il distacco dal Cadore.
Da allora Pescul, distaccata da San Vito, divenne la decima centena del Cadore che rimase sempre fedele alla Repubblica di Venezia fino alla sua soppressione il 12 maggio 1797 in seguito al Trattato di Campoformio.
Dopo la parentesi della Repubblica di San Marco, nel 1797 il territorio cadorino venne ceduto all’Austria, il 18 marzo 1805 però venne unito al Regno d’Italia napoleonico, come Dipartimento del Piave, con la soppressione delle Regole e l’istituzione dei Comuni.
Nel 1814 il Cadore ritornò all’Austria, che costituì il Regno Lombardo-Veneto e, dopo le vicende del Risorgimento italiano passò sotto il sabaudo Regno d’Italia nel 1866 al termine della terza guerra d’indipendenza, della quale in Cadore si ricorda il combattimento di Treponti in prossimità di Vigo, avvenuto il 14 agosto 1866. Con il referendum nazionale del 2 giugno 1946 entrò a far parte della Repubblica Italiana e, con l’istituzione delle Regioni, nel 1970, fa parte del Veneto.
L’emblema tradizionale del Cadore mostra un albero (attualmente un abete o pino, sostituito nel periodo napoleonico, fino al XIX secolo era un tiglio) secondo le fonti il tiglio, raro nel Cadore (vive solo fino a 1200 m.), era un albero sacro per i Veneti antichi, ed attorno ad esso si riuniva il Consiglio degli anziani del villaggio. L’albero è legato con una catena a due torri, simboliche dei due castelli di Pieve e Botestagno, simbolicamente rappresenta la fedeltà e l’onore ma anche il ruolo del Cadore che è sempre stato il confine naturale delle terre venete con le popolazioni transalpine: la catena stesa tra i due castelli simboleggia il confine a testimoniare la vitale funzione di protezione attribuita a questa terra.
La catena (“cadéna” in veneto) ha anche una funzione “parlante” essendo assonante con “Cadore”, e simboleggia anche l’unione di tutta la regione.
Il castello di Pieve si trovava sul Monterìco, in posizione dominante e di difficile accesso. Nel 1140 Corrado III, re di Germania, ne conferma i privilegi alla chiesa di Frisinga, che aveva potestà anche sul Comitatum Catubriae. Distrutto da un incendio, venne poi ricostruito dal patriarcato: era munito di ponte levatoio, dotato di una alta torre, di alloggi destinati al corpo di guardia, di magazzini, di un’abitazione per il comandante e aveva inoltre al suo interno una chiesa dedicata a Santa Caterina d’Alessandria. Più volte restaurato nel corso del XV secolo, a partire dalla dominazione veneziana venne abbandonato. Con l’avvento delle truppe francesi nel 1797, venne prima rioccupato e poi fu lasciato andare in rovina. Nel 1882 le autorità militari italiane costruirono in quello stesso sito una fortezza, la “Batteria Castello”.
Il castello di Botestagno si ergeva invece in posizione dominante sul rio Felizon, oltre Cortina d’Ampezzo, e controllava la via proveniente dal Tirolo. Documentato dal 1309, anche se si ipotizza che esistesse già a partire dal XII secolo, era presidiato da un castellano con alcuni soldati. Con buona probabilità si doveva trattare di una piccola fortezza; era comunque dotato degli alloggi per le guarnigioni, per il sergente e il comandante, di una cappella, le cucine, i magazzini, il pozzo con la cisterna, la prigione. Venne messo all’asta dal governo bavarese nel 1808 e successivamente distrutto.
L’emblema compare anche in diversi stemmi di comunità cadorine ed è richiamato da quello d’Ampezzo: dove sono due abeti ad incatenare una torre.
Nota di Massimo Ghirardi
Stemma Ridisegnato
Disegnato da: Massimo Ghirardi
Stemma Ufficiale
Logo
Bozzetto originale acs/Pdc
Altre immagini
Profilo Araldico
Non ancora una blasonatura
LEGENDA
Il Cadore (Ciadore, in ladino) è una regione storica e geografica in gran parte situata nella parte alta dell’attuale provincia veneta di Belluno, e in minor parte nella regione Friuli-Venezia Giulia. Interamente appartenente alla zona montuosa delle Dolomiti Orientali.
Il toponimo, Catubriæ in latino, secondo il glottologo Giovan Battista Pellegrini, è di origine celtica e deriverebbe da catu (battaglia) unito a brigum (roccaforte) attribuito probabilmente all’attuale Monte Ricco, dove esisteva un “castelliere” della tribù celtica dei Catubrini, che hanno dato il nome alla regione.
La prima menzione documentale del nome Catubrini risale ad un’epigrafe sepolcrale del II secolo d.C. ritrovata a Belluno nel 1888, in cui tale Marcus Carminius (cives romano della tribù Claudia), compare come ‘patrono’.
Viene generalmente suddiviso nei sub-territori:
- Comelico superiore o Alto Cadore
- Comelico
- Sappada (zona di cultura carinziana, aggregata al Cadore nel XIX secolo)
- Centro Cadore o Alta Valle del Piave
- Val Boite, comprendente l’Oltrechiusa e l’Oltremonti
- Misurina
Il comune di Cortina d’Ampezzo, nei documenti antichi Ampitium Cadubri, che fa parte del Cadore geografico, fu distaccato politicamente dal Cadore e dalla Repubblica di Venezia per conquista da parte di Massimiliano d’Asburgo nel 1511, ed è rimasto fino al Trattato di Saint Germain del 1919 aggregato al Tirolo asburgico.
I Romani dal 115 a.C. sottomisero il territorio alla Regio X “Venetia et Histria” con capoluogo Aquileia, municipium Julium Carnicum, con la concessione della cittadinanza e l’aggregazione alla gens Claudia nel 15 a.C.
Il Cadore fu oggetto delle scorrerie degli Eruli (476-493), poi degli Ostrogoti (493-553), i Bizantini (553-568) ed i Longobardi (568-774): durante il lungo dominio di questi ultimi vennero istituite le Regole.
I Franchi (774-884) aggregarono inizialmente la regione alla Marca del Friuli, poi al Ducato di Carinzia (884-1077), verso la fine del X secolo alcune zone erano governate per mezzo di un rappresentante dal vescovo di Frisinga (Freising).
Nel 1077 l’imperatore Enrico IV creò il principato-vescovile del Patriarcato di Aquileia, attribuendo al patriarca Sieghard von Beilstein poteri temporali su un vasto territorio, comprendente anche il Cadore, che era già ecclesiasticamente soggetto al vescovo di Zuglio (Julium Carnicum), suffraganeo d’Aquileia fin dal 717.
Nel XI secolo è istituito l’Arcidiaconato del Cadore, una delle quattro ripartizioni della Diocesi aquileiense. Il Patriarcato concesse il Cadore in epoca successiva in vassallaggio ai nobili Colfosco (ramo dei conti di Collalto) che, nel 1138, lo passeranno per via ereditaria diretta ai Guecellone II da Camino (figlio di Gabriele I da Camino e di Metilda di Collalto, la quale aveva ricevuto in eredità dallo zio materno Alberto di Collalto la Curia del Cadore), lo manterranno fino al 1335, anno dell’estinzione della linea maschile di questo casato di origine longobarda.
Attorno al XIII secolo si consolida l’uso degli Statuti concessi dai signori, e le Regole (denominazione delle comunità di villaggio cadorine) si federarono dando origine alla Magnifica Comunità di Cadore, che ottenne dal conte Biaquino III da Camino gli «Statuta de Cadubrio».
Con la morte in battaglia nel 1335 del conte Rizzardo III da Camino, senza eredi maschi, cessò la signoria caminese ed il Cadore tornò sotto il diretto governo dei Patriarchi. La popolazione cadorina chiese però di assumere il patrocinio (dato che i governanti laici governavano i territori in virtù di una “delega” dei prelati religiosi) alle tre figlie di Rizzardo: Caterina, Beatrice e Rizzarda, e con ciò anche la potestà feudale.
Dal 1337 al 1347 i cadorini firmarono un patto con Giovanni Enrico di Lussemburgo, duca di Carinzia e conte del Tirolo, e il fratello Carlo, re di Boemia (futuro imperatore Carlo IV), passando sotto la loro protezione al fine di garantirsi l’autonomia amministrativa. Nel frattempo la Magnifica Comunità promulgò gli Statuti Cadorini nel 1338 e, nel 1341, i conti del Tirolo Margherita (erede del Tirolo, nota come Maultasch: ossia “bocca a tasca”) e Ludwig di Brandeburgo ne recepirono il protettorato in nome del patriarca e dell’imperatore.
Il Cadore ritornò nel 1347 nuovamente sotto il diretto governo del Patriarcato, sulla cattedra di Aquileia sedeva allora il francese Bertrand de Saint-Geniès (Bertrando di San Genesio), che visitò Pieve nel mese di maggio (precauzionalmente accompagnato da un nutrito gruppo di armati), e riconobbe la validità degli Statuti e il sistema di autogoverno locale. Il 1347 è quindi un anno fondamentale per le istituzioni cadorine, che perdureranno fino al 1420, anno in cui la Repubblica di Venezia pose fine al potere temporale dei patriarchi.
Alla caduta del potere temporale dei Patriarchi, in seguito alla Guerra tra Repubblica di Venezia e Regno d’Ungheria, i cadorini, dopo aver chiesto ed ottenuto di sciogliere formalmente il giuramento di fedeltà al Patriarcato di Aquileia, nel 1420 votarono all’unanimità la loro Dedizione alla Serenissima (celebrata anche in un noto quadro del cadorino Tiziano Vecellio). La Comunità venne inquadrata nel Reggimento del Cadore, ma ottenne in cambio un’ampia autonomia amministrativa e il rispetto degli Statuti.
A quei tempi il Cadore era diviso in dieci Centenari:
- Pieve (di Cadore), con ruolo di capoluogo e sede del Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore, nel quale si riunivano i membri eletti dalle 27 Regole delle comunità di villaggio
- Auronzo
- Comelico Superiore
- Ampezzo
- Oltrepiave
- Domegge
- Valle (di Cadore)
- Venas
- San Vito
Nel 1507 Massimiliano d’Asburgo non ottenne dalla Serenissima il permesso di attraversare il Cadore in armi per recarsi a Roma per essere incoronato imperatore. Ne seguì un conflitto armato nel quale gli imperiali vennero sconfitti, in pieno inverno, dai veneziani guidati da Bartolomeo d’Alviano.
Nel 1509 le truppe imperiali, ritornate per vendicarsi, subirono una nuova sconfitta.
L’inimicizia ebbe il suo peso nel trattato di pace al termine della Lega di Cambrai, che coinvolse il Cadore, nella stipula del trattato Massimiliano I, che aveva conquistato il castello di Botestagno e Pieve, nel 1511 ottenne l’Ampezzano, al quale l’imperatore concesse un’ampia autonomia e il distacco dal Cadore.
Da allora Pescul, distaccata da San Vito, divenne la decima centena del Cadore che rimase sempre fedele alla Repubblica di Venezia fino alla sua soppressione il 12 maggio 1797 in seguito al Trattato di Campoformio.
Dopo la parentesi della Repubblica di San Marco, nel 1797 il territorio cadorino venne ceduto all’Austria, il 18 marzo 1805 però venne unito al Regno d’Italia napoleonico, come Dipartimento del Piave, con la soppressione delle Regole e l’istituzione dei Comuni.
Nel 1814 il Cadore ritornò all’Austria, che costituì il Regno Lombardo-Veneto e, dopo le vicende del Risorgimento italiano passò sotto il sabaudo Regno d’Italia nel 1866 al termine della terza guerra d’indipendenza, della quale in Cadore si ricorda il combattimento di Treponti in prossimità di Vigo, avvenuto il 14 agosto 1866. Con il referendum nazionale del 2 giugno 1946 entrò a far parte della Repubblica Italiana e, con l’istituzione delle Regioni, nel 1970, fa parte del Veneto.
L’emblema tradizionale del Cadore mostra un albero (attualmente un abete o pino, sostituito nel periodo napoleonico, fino al XIX secolo era un tiglio) secondo le fonti il tiglio, raro nel Cadore (vive solo fino a 1200 m.), era un albero sacro per i Veneti antichi, ed attorno ad esso si riuniva il Consiglio degli anziani del villaggio. L’albero è legato con una catena a due torri, simboliche dei due castelli di Pieve e Botestagno, simbolicamente rappresenta la fedeltà e l’onore ma anche il ruolo del Cadore che è sempre stato il confine naturale delle terre venete con le popolazioni transalpine: la catena stesa tra i due castelli simboleggia il confine a testimoniare la vitale funzione di protezione attribuita a questa terra.
La catena (“cadéna” in veneto) ha anche una funzione “parlante” essendo assonante con “Cadore”, e simboleggia anche l’unione di tutta la regione.
Il castello di Pieve si trovava sul Monterìco, in posizione dominante e di difficile accesso. Nel 1140 Corrado III, re di Germania, ne conferma i privilegi alla chiesa di Frisinga, che aveva potestà anche sul Comitatum Catubriae. Distrutto da un incendio, venne poi ricostruito dal patriarcato: era munito di ponte levatoio, dotato di una alta torre, di alloggi destinati al corpo di guardia, di magazzini, di un’abitazione per il comandante e aveva inoltre al suo interno una chiesa dedicata a Santa Caterina d’Alessandria. Più volte restaurato nel corso del XV secolo, a partire dalla dominazione veneziana venne abbandonato. Con l’avvento delle truppe francesi nel 1797, venne prima rioccupato e poi fu lasciato andare in rovina. Nel 1882 le autorità militari italiane costruirono in quello stesso sito una fortezza, la “Batteria Castello”.
Il castello di Botestagno si ergeva invece in posizione dominante sul rio Felizon, oltre Cortina d’Ampezzo, e controllava la via proveniente dal Tirolo. Documentato dal 1309, anche se si ipotizza che esistesse già a partire dal XII secolo, era presidiato da un castellano con alcuni soldati. Con buona probabilità si doveva trattare di una piccola fortezza; era comunque dotato degli alloggi per le guarnigioni, per il sergente e il comandante, di una cappella, le cucine, i magazzini, il pozzo con la cisterna, la prigione. Venne messo all’asta dal governo bavarese nel 1808 e successivamente distrutto.
L’emblema compare anche in diversi stemmi di comunità cadorine ed è richiamato da quello d’Ampezzo: dove sono due abeti ad incatenare una torre.
Nota di Massimo Ghirardi
Stemma Ridisegnato
Disegnato da: Massimo Ghirardi
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