Casentino
«Primo e più elevato bacino dell’Arno», al dire di Repetti «il Casentino è circoscritto da alti monti, i quali scendono dalla catena centrale dell’Appennino per due grandi diramazioni», l’Alpe di Catenaia, che separa la valle dell’Arno da quella del Tevere, e più a Sud il Pratomagno; «simili contrafforti si ramificano in varia direzione abbassandosi nella valle sino alle rive dell’uno e dell’altro fiume, talché la contrada è presso che tutta montuosa. Dove la valle Casentinese maggiormente pianeggia è nei contorni del famoso Campaldino davanti a Poppi».
Il coronimo deriva probabilmente dalla voce latina clusus, col senso di “chiuso”, che ben rappresenta la conformazione della stretta vallata. Secondo la tradizione invece sarebbe derivato dalla tribù ligure dei Casuentini, che avrebbe abitato la valle in tempi remoti.
Il Casentino fu in ogni caso frequentato da gruppi umani fin dal Paleolitico medio. In epoca protostorica è attestata la presenza di genti di stirpe ligure nelle zone montane, così come una forte presenza di popolazioni appartenenti agli antichi Umbri. Ben attestata la presenza etrusca, con diversi insediamenti e luoghi di culto quali il Lago degli Idoli, presso le sorgenti dell’Arno, nel quale sono stati recuperati un gran numero di statuette e oggetti votivi.
Valle silvestre e appartata, lontana dalle principali vie di comunicazione, fu nel Medioevo terra di castelli. Dopo una lunga dominazione longobarda, attestata da numerosi toponimi, il Casentino, diviso tra le diocesi di Fiesole e Arezzo, fin dagli anni attorno al Mille fu soggetto al dominio dei conti Guidi. Potenti feudatari e conti palatini, ebbero per capostipite un Teudegrino o Tegrimo, detto Guido, che nel 924 risiedeva a Pistoia. Ereditando per matrimonio i feudi di Ravenna e Modigliana, i successori trasferirono in quest’ultima a località il centro del loro potere, più volte riconfermato dall’Imperatore. Imparentati con le maggiori casate di Toscana e in ottimi rapporti con Matilde di Canossa, incrementarono ulteriormente i loro domini, che si estesero nel Casentino e in altre località toscane. Nel corso del XII secolo lottarono nelle file imperiali contro l’espansionismo fiorentino, finché nel 1195 Guido Guerra cambiò politica e si unì alla lega di san Genesio a fianco delle milizie comunali. Per sancire questo patto sposò la fiorentina Gualdrada dei Ravignani, dalla quale ebbe cinque figli maschi, che attorno al 1230 si divisero le ingenti proprietà della casata, fino ad allora unite in un corpo unico. A fronte del prematuro decesso di Ruggieri, presero origine quattro diversi rami della casata, ognuno dei quali prese nome dai castelli di residenza e alzò un proprio stemma ispirato al ben noto Inquartato in croce di sant’Andrea d’argento e di rosso, al leone dell’uno nell’altro della cosiddetta arme antica (1).
– Guido Guerra IV fu conte di Modigliana, Poppi (dove costruì il celebre castello) e Battifolle: D’azzurro, al leone inquartato in croce di sant’Andrea d’argento e di rosso.
– Aghinolfo fu conte di Romena, Regginopoli e Montegranelli. Questo ramo fu protagonisti del celebre episodio ricordato da Dante della falsificazione del fiorino d’oro ad opera di Maestro Adamo: Inquartato in croce di sant’Andrea d’argento e di rosso.
– Teudegrimo fu conte di Porciano, Stia, San Godenzo, San Bavello, Pozzo e parte della Val d’Ambra. Dettero origine al ramo di Palagio e Urbech: Partito: nel primo inquartato in croce di sant’Andrea d’oro e di rosso uscente dalla partitura; nel secondo d’azzurro al leone d’oro.
– Marcovaldo fu conte di Dovadola, Tredozio e di Bagno; fu di fede guelfa e rimase fedele a Firenze: Inquartato in croce di sant’Andrea d’oro e d’azzurro.
Rami minori della casata alzarono in seguito ulteriori brisure.
Il Casentino fu anche terra di Fede. I Guidi eressero presso Poppi la potente abbazia benedettina di Strumi, ma sui monti che fanno corona alla valle si trovano, disposti quasi a formare un triangolo, il santuario francescano della Verna, il monastero e l’eremo di Camaldoli, e – per quanto di poco oltre il crinale del Pratomagno – l’abbazia riformata di Vallombrosa.
Nel giugno 1289 la piana di Campaldino fu teatro di una sanguinosa battaglia, che vide fronteggiarsi l’armata aretina e quella fiorentina. Questi ultimi riuscirono a prevalere, aprendosi la strada per la definitiva penetrazione nel Valdarno di Sopra e, più tardi, nel Casentino. Nelle file della cavalleria fiorentini militava il giovane Dante Alighieri, che, schierato nel punto nevralgico della battaglia, fu assalito da «temenza molta» al primo urto con gli Aretini. Dante fu in rapporti diretti e personali con alcuni membri dei conti Guidi, che in una epistola chiama «progenies maxima Tuscanorum». Di questi rapporti, in particolare con i conti del ramo di Romena, resta traccia in vari punti della Commedia. Il poeta fu invece severo nei confronti della gente casentinese, che giudicava rozza e incivile, tanto da bollarla con l’appellativo di «brutti porci, più degni di galle che d’altro cibo fatto in uman uso» (Purg. XIV 43-44).
Entrato fin dal XIII secolo nelle mire espansionistiche dei fiorentini, il Casentino ne subì ben presto la penetrazione, ottenuta sia con il ferro delle armi che con l’oro dei fiorini. «I due casi non erano affatto alternativi – sottolinea Cherubini – perché Firenze amava spesso dare una qualche parvenza legale alla stessa forza delle armi versando ai conti [Guidi] dei bei fiorini sonanti».
Nel 1348 gli uomini dei castelli di San Niccolò e di Montemignaio si ribellarono a Galeotto di Guglielmo Novello (ramo di Poppi) dandosi alla Repubblica fiorentina, che vi instaurò la Podesteria della Montagna fiorentina. Quest’ultima alzava un’insegna dal campo azzurro (a volte rosso) con un monte di sei cime d’oro – figura parlante che richiama la denominazione – sormontato da un sole raggiante anch’esso d’oro «per rammentare il torrente Solano che bagna le rive di quella terra», come afferma Passerini (1).
Nel 1357 la stirpe dei conti di Romena vendette a Firenze il castello omonimo. Nel 1402 passò sotto il dominio fiorentino Stia con i castelli nei dintorni, dando origine al comune che fu detto del Palagio fiorentino. Nei capitoli di sottomissione stipulati quello stesso anno, i fiorentini imposero al comunello casentinese anche l’insegna, costituita da un leone al naturale in campo bianco che alza il vessillo col giglio fiorentino «a onore del Comune di Firenze» (2). È questo uno dei pochi casi che documentano l’assunzione per obbligo di una insegna politica, con i simboli ben chiari della Dominante, a rimarcare attraverso un immediato impatto visivo – in origine era questa la funzione dell’araldica – chi comandava su quel territorio.
Nel 1440 il conte Francesco da Poppi (ramo da Battifolle) che governava in accomandigia, si sollevò contro Firenze. La sua rivolta però venne ben presto domata e il conte scacciato dal Casentino. In conseguenza di ciò, Poppi e Pratovecchio passarono sotto il diretto dominio fiorentino.
La Podesteria di Poppi adottò come insegna una variante di quella in precedenza adottata dalla locale contea guidinga: Partito d’argento e di rosso, al leone affrontato controrampante dell’uno nell’altro (1). I due leoni affrontati – al naturale nel campo d’argento – restano le figure principali, ma sormontati dal giglio fiorentino, in modo che le fiere sottomesse sembrino sostenerlo (2).
Le fonti invece non fanno chiarezza in merito all’insegna della Podesteria di Pratovecchio. La maggior parte dei blasonari attestano un leone al naturale che alza il vessillo fiorentino (a volte il giglio, altre la croce del Popolo), del tutto simile allo stemma imposto al comune del Palagio fiorentino, peraltro compreso nel territorio della Podesteria. Degno di nota l’esemplare in cui la figura è caricata in un campo bianco seminato di fiori rossi gambuti di verde (1), così come quello in cui il leone tiene tre le branche un mazzo di fiori anziché il vessillo. Del tutto diversa una terza versione che mostra un campo troncato azzurro e oro, caricato da un braccio umano (destrocherio) vestito di rosso, tenente tre fiori di lino (2). Varianti nelle quali la presenza dell’elemento floreale allude chiaramente al toponimo.
Nel 1444, con la sottomissione del castello di Porciano, si completò il dominio fiorentino su tutto l’alto Casentino.
I castelli del basso Casentino erano invece sottoposti al vescovo aretino, e da questo concessi in signoria alle casate più fedeli, quali i Tarlati e gli Ubertini. Finché, in base al trattato concluso nel 1353 fra la Repubblica fiorentina e il duca di Milano, tali castelli furono consegnati ai Fiorentini, che insediarono i loro giusdicenti a Bibbiena e Castel Focognano.
L’insegna di Bibbiena presenta figure simili a quella sopra citata del Palagio Fiorentino e fu probabilmente imposta negli atti di capitolazione, anche se non resta traccia nei documenti. Diversa nei colori, mostra un leone d’argento che alza il vessillo del Popolo di Firenze, il tutto in campo azzurro (1).
L’insegna di Castel Focognano è costituita da una figura parlante: un castello turrito avvolto dalle fiamme di un incendio; il campo è argento, e presenta il Capo d’Angiò, simbolo politico della Parte Guelfa, forse anch’esso imposto (2).
Le Podesterie del Casentino vennero sottoposte alla giurisdizione penale del vicario di Poppi, salvo Castel Focognano, soggetto a quello di Anghiari.
Oggi il Casentino, interamente compreso nella Provincia di Arezzo, si presenta amministrativamente molto più frazionato. Al tempo dell’Unità d’Italia la vallata era ripartita in quattordici Comuni: Bibbiena, Capolona, Castel Focognano, Castel San Niccolò, Chitignano, Chiusi della Verna, Montemignaio, Ortignano, Poppi, Pratovecchio, Raggiolo, Stia, Subbiano e Talla. Oggi se ne contano dodici, a seguito della fusione tra Ortignano e Raggiolo, accorpati nel 1873, e di quella più recente (1° gennaio 2014) che ha dato vita al Comune di Pratovecchio Stia. Nel 2012 fu promossa l’idea di costituire un comune unico del Casentino, respinta però dalla popolazione a seguito di un referendum consultivo.
Le verdi dorsali che fanno da corona alla vallata, un tempo di proprietà dell’Opera del Duomo di Firenze, sono oggi tutelate dal Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, istituito nel 1993 su una superficie di 36.846 ettari a cavallo della dorsale appenninica tra la Toscana e la Romagna.
Nota e immagini a cura di Michele Turchi
Bibliografia
– E. Repetti, Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana, Firenze 1833-46.
– L. Passerini, Le armi dei Municipj Toscani, Firenze 1864.
– E. Fasano Guarini, Lo stato mediceo di Cosimo I, Firenze 1973.
– Fiesole, una diocesi nella storia. Saggi, contributi, immagini, Fiesole 1986.
– L. Borgia, Introduzione allo studio dell’araldica civica italiana con particolare riferimento alla Toscana, in Gli stemmi dei Comuni Toscani al 1860, a cura di G.P. Pagnini, Firenze 1991.
– G. Cherubini, Fra Tevere, Arno e Appennino. Valli, comunità, signori, Firenze 1992.
– V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana, Firenze 2006.
– P. Pirillo, Forme e strutture del popolamento del contado fiorentino, II, Gli insediamenti fortificati (1280-1380), Firenze 2008.
LEGENDA
«Primo e più elevato bacino dell’Arno», al dire di Repetti «il Casentino è circoscritto da alti monti, i quali scendono dalla catena centrale dell’Appennino per due grandi diramazioni», l’Alpe di Catenaia, che separa la valle dell’Arno da quella del Tevere, e più a Sud il Pratomagno; «simili contrafforti si ramificano in varia direzione abbassandosi nella valle sino alle rive dell’uno e dell’altro fiume, talché la contrada è presso che tutta montuosa. Dove la valle Casentinese maggiormente pianeggia è nei contorni del famoso Campaldino davanti a Poppi».
Il coronimo deriva probabilmente dalla voce latina clusus, col senso di “chiuso”, che ben rappresenta la conformazione della stretta vallata. Secondo la tradizione invece sarebbe derivato dalla tribù ligure dei Casuentini, che avrebbe abitato la valle in tempi remoti.
Il Casentino fu in ogni caso frequentato da gruppi umani fin dal Paleolitico medio. In epoca protostorica è attestata la presenza di genti di stirpe ligure nelle zone montane, così come una forte presenza di popolazioni appartenenti agli antichi Umbri. Ben attestata la presenza etrusca, con diversi insediamenti e luoghi di culto quali il Lago degli Idoli, presso le sorgenti dell’Arno, nel quale sono stati recuperati un gran numero di statuette e oggetti votivi.
Valle silvestre e appartata, lontana dalle principali vie di comunicazione, fu nel Medioevo terra di castelli. Dopo una lunga dominazione longobarda, attestata da numerosi toponimi, il Casentino, diviso tra le diocesi di Fiesole e Arezzo, fin dagli anni attorno al Mille fu soggetto al dominio dei conti Guidi. Potenti feudatari e conti palatini, ebbero per capostipite un Teudegrino o Tegrimo, detto Guido, che nel 924 risiedeva a Pistoia. Ereditando per matrimonio i feudi di Ravenna e Modigliana, i successori trasferirono in quest’ultima a località il centro del loro potere, più volte riconfermato dall’Imperatore. Imparentati con le maggiori casate di Toscana e in ottimi rapporti con Matilde di Canossa, incrementarono ulteriormente i loro domini, che si estesero nel Casentino e in altre località toscane. Nel corso del XII secolo lottarono nelle file imperiali contro l’espansionismo fiorentino, finché nel 1195 Guido Guerra cambiò politica e si unì alla lega di san Genesio a fianco delle milizie comunali. Per sancire questo patto sposò la fiorentina Gualdrada dei Ravignani, dalla quale ebbe cinque figli maschi, che attorno al 1230 si divisero le ingenti proprietà della casata, fino ad allora unite in un corpo unico. A fronte del prematuro decesso di Ruggieri, presero origine quattro diversi rami della casata, ognuno dei quali prese nome dai castelli di residenza e alzò un proprio stemma ispirato al ben noto Inquartato in croce di sant’Andrea d’argento e di rosso, al leone dell’uno nell’altro della cosiddetta arme antica (1).
– Guido Guerra IV fu conte di Modigliana, Poppi (dove costruì il celebre castello) e Battifolle: D’azzurro, al leone inquartato in croce di sant’Andrea d’argento e di rosso.
– Aghinolfo fu conte di Romena, Regginopoli e Montegranelli. Questo ramo fu protagonisti del celebre episodio ricordato da Dante della falsificazione del fiorino d’oro ad opera di Maestro Adamo: Inquartato in croce di sant’Andrea d’argento e di rosso.
– Teudegrimo fu conte di Porciano, Stia, San Godenzo, San Bavello, Pozzo e parte della Val d’Ambra. Dettero origine al ramo di Palagio e Urbech: Partito: nel primo inquartato in croce di sant’Andrea d’oro e di rosso uscente dalla partitura; nel secondo d’azzurro al leone d’oro.
– Marcovaldo fu conte di Dovadola, Tredozio e di Bagno; fu di fede guelfa e rimase fedele a Firenze: Inquartato in croce di sant’Andrea d’oro e d’azzurro.
Rami minori della casata alzarono in seguito ulteriori brisure.
Il Casentino fu anche terra di Fede. I Guidi eressero presso Poppi la potente abbazia benedettina di Strumi, ma sui monti che fanno corona alla valle si trovano, disposti quasi a formare un triangolo, il santuario francescano della Verna, il monastero e l’eremo di Camaldoli, e – per quanto di poco oltre il crinale del Pratomagno – l’abbazia riformata di Vallombrosa.
Nel giugno 1289 la piana di Campaldino fu teatro di una sanguinosa battaglia, che vide fronteggiarsi l’armata aretina e quella fiorentina. Questi ultimi riuscirono a prevalere, aprendosi la strada per la definitiva penetrazione nel Valdarno di Sopra e, più tardi, nel Casentino. Nelle file della cavalleria fiorentini militava il giovane Dante Alighieri, che, schierato nel punto nevralgico della battaglia, fu assalito da «temenza molta» al primo urto con gli Aretini. Dante fu in rapporti diretti e personali con alcuni membri dei conti Guidi, che in una epistola chiama «progenies maxima Tuscanorum». Di questi rapporti, in particolare con i conti del ramo di Romena, resta traccia in vari punti della Commedia. Il poeta fu invece severo nei confronti della gente casentinese, che giudicava rozza e incivile, tanto da bollarla con l’appellativo di «brutti porci, più degni di galle che d’altro cibo fatto in uman uso» (Purg. XIV 43-44).
Entrato fin dal XIII secolo nelle mire espansionistiche dei fiorentini, il Casentino ne subì ben presto la penetrazione, ottenuta sia con il ferro delle armi che con l’oro dei fiorini. «I due casi non erano affatto alternativi – sottolinea Cherubini – perché Firenze amava spesso dare una qualche parvenza legale alla stessa forza delle armi versando ai conti [Guidi] dei bei fiorini sonanti».
Nel 1348 gli uomini dei castelli di San Niccolò e di Montemignaio si ribellarono a Galeotto di Guglielmo Novello (ramo di Poppi) dandosi alla Repubblica fiorentina, che vi instaurò la Podesteria della Montagna fiorentina. Quest’ultima alzava un’insegna dal campo azzurro (a volte rosso) con un monte di sei cime d’oro – figura parlante che richiama la denominazione – sormontato da un sole raggiante anch’esso d’oro «per rammentare il torrente Solano che bagna le rive di quella terra», come afferma Passerini (1).
Nel 1357 la stirpe dei conti di Romena vendette a Firenze il castello omonimo. Nel 1402 passò sotto il dominio fiorentino Stia con i castelli nei dintorni, dando origine al comune che fu detto del Palagio fiorentino. Nei capitoli di sottomissione stipulati quello stesso anno, i fiorentini imposero al comunello casentinese anche l’insegna, costituita da un leone al naturale in campo bianco che alza il vessillo col giglio fiorentino «a onore del Comune di Firenze» (2). È questo uno dei pochi casi che documentano l’assunzione per obbligo di una insegna politica, con i simboli ben chiari della Dominante, a rimarcare attraverso un immediato impatto visivo – in origine era questa la funzione dell’araldica – chi comandava su quel territorio.
Nel 1440 il conte Francesco da Poppi (ramo da Battifolle) che governava in accomandigia, si sollevò contro Firenze. La sua rivolta però venne ben presto domata e il conte scacciato dal Casentino. In conseguenza di ciò, Poppi e Pratovecchio passarono sotto il diretto dominio fiorentino.
La Podesteria di Poppi adottò come insegna una variante di quella in precedenza adottata dalla locale contea guidinga: Partito d’argento e di rosso, al leone affrontato controrampante dell’uno nell’altro (1). I due leoni affrontati – al naturale nel campo d’argento – restano le figure principali, ma sormontati dal giglio fiorentino, in modo che le fiere sottomesse sembrino sostenerlo (2).
Le fonti invece non fanno chiarezza in merito all’insegna della Podesteria di Pratovecchio. La maggior parte dei blasonari attestano un leone al naturale che alza il vessillo fiorentino (a volte il giglio, altre la croce del Popolo), del tutto simile allo stemma imposto al comune del Palagio fiorentino, peraltro compreso nel territorio della Podesteria. Degno di nota l’esemplare in cui la figura è caricata in un campo bianco seminato di fiori rossi gambuti di verde (1), così come quello in cui il leone tiene tre le branche un mazzo di fiori anziché il vessillo. Del tutto diversa una terza versione che mostra un campo troncato azzurro e oro, caricato da un braccio umano (destrocherio) vestito di rosso, tenente tre fiori di lino (2). Varianti nelle quali la presenza dell’elemento floreale allude chiaramente al toponimo.
Nel 1444, con la sottomissione del castello di Porciano, si completò il dominio fiorentino su tutto l’alto Casentino.
I castelli del basso Casentino erano invece sottoposti al vescovo aretino, e da questo concessi in signoria alle casate più fedeli, quali i Tarlati e gli Ubertini. Finché, in base al trattato concluso nel 1353 fra la Repubblica fiorentina e il duca di Milano, tali castelli furono consegnati ai Fiorentini, che insediarono i loro giusdicenti a Bibbiena e Castel Focognano.
L’insegna di Bibbiena presenta figure simili a quella sopra citata del Palagio Fiorentino e fu probabilmente imposta negli atti di capitolazione, anche se non resta traccia nei documenti. Diversa nei colori, mostra un leone d’argento che alza il vessillo del Popolo di Firenze, il tutto in campo azzurro (1).
L’insegna di Castel Focognano è costituita da una figura parlante: un castello turrito avvolto dalle fiamme di un incendio; il campo è argento, e presenta il Capo d’Angiò, simbolo politico della Parte Guelfa, forse anch’esso imposto (2).
Le Podesterie del Casentino vennero sottoposte alla giurisdizione penale del vicario di Poppi, salvo Castel Focognano, soggetto a quello di Anghiari.
Oggi il Casentino, interamente compreso nella Provincia di Arezzo, si presenta amministrativamente molto più frazionato. Al tempo dell’Unità d’Italia la vallata era ripartita in quattordici Comuni: Bibbiena, Capolona, Castel Focognano, Castel San Niccolò, Chitignano, Chiusi della Verna, Montemignaio, Ortignano, Poppi, Pratovecchio, Raggiolo, Stia, Subbiano e Talla. Oggi se ne contano dodici, a seguito della fusione tra Ortignano e Raggiolo, accorpati nel 1873, e di quella più recente (1° gennaio 2014) che ha dato vita al Comune di Pratovecchio Stia. Nel 2012 fu promossa l’idea di costituire un comune unico del Casentino, respinta però dalla popolazione a seguito di un referendum consultivo.
Le verdi dorsali che fanno da corona alla vallata, un tempo di proprietà dell’Opera del Duomo di Firenze, sono oggi tutelate dal Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, istituito nel 1993 su una superficie di 36.846 ettari a cavallo della dorsale appenninica tra la Toscana e la Romagna.
Nota e immagini a cura di Michele Turchi
Bibliografia
– E. Repetti, Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana, Firenze 1833-46.
– L. Passerini, Le armi dei Municipj Toscani, Firenze 1864.
– E. Fasano Guarini, Lo stato mediceo di Cosimo I, Firenze 1973.
– Fiesole, una diocesi nella storia. Saggi, contributi, immagini, Fiesole 1986.
– L. Borgia, Introduzione allo studio dell’araldica civica italiana con particolare riferimento alla Toscana, in Gli stemmi dei Comuni Toscani al 1860, a cura di G.P. Pagnini, Firenze 1991.
– G. Cherubini, Fra Tevere, Arno e Appennino. Valli, comunità, signori, Firenze 1992.
– V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana, Firenze 2006.
– P. Pirillo, Forme e strutture del popolamento del contado fiorentino, II, Gli insediamenti fortificati (1280-1380), Firenze 2008.
LEGENDA