Mugello
Con il coronimo Mugello si definisce l’alta valle del fiume Sieve, maggiore affluente d’Arno a monte di Firenze, posta tra la catena appenninica e la vallata fiorentina, dalla quale è separata da una serie di rilevi, i maggiori dei quali sono la Calvana, Monte Morello, Monte Senario e Monte Giovi. S’intende generalmente per Mugello, precisa il geografo Repetti, «la porzione superiore e occidentale della vallata, a partire dall’origine della fiumana Stura sino alla confluenza in Sieve del torrente Dicomano».
Numerose testimonianze archeologiche dimostrano con chiarezza la presenza nella vallata di gruppi umani più o meno stabili fin dal Paleolitico. La tradizione vuole che vi fosse insediata la tribù dei Magelli, la più orientale del popolo dei Liguri, dalla quale il territorio avrebbe preso il proprio nome. Ben documentata è invece la presenza etrusca, nonostante in passato si ritenesse che questo popolo non avesse occupato i territori a nord dell’Arno.
Nel corso del Medioevo vi si insediarono potenti stirpi feudali, quali gli Ubaldini (1) e, più a levante, i conti Guidi del ramo di Battifolle (2). La porzione di territorio più meridionale fu invece largamente soggetta al vescovo di Firenze e, più marginalmente, a quello di Fiesole.
Fu contro questi poteri che si venne a scontrare la città di Firenze quando, nel corso del XIII secolo, orientò le proprie mire sul controllo diretto del proprio contado, controllo essenziale sia per garantirsi le derrate necessarie al sostentamento della città sia per il libero accesso alle vie di comunicazione, di vitale importanza per i commerci. E dal Mugello transitava quella importantissima che dava accesso a Bologna e alla Valle padana.
Nel 1291, dopo aspre contese, Firenze ebbe ragione dei conti Guidi che detenevano il forte castello di Ampiniana, appartenente al ramo da Battifolle. Fatto radere al suolo il castello, nel 1324 venne circondato da mura il vicino borgo di Vicchio, creando un antemurale a levante della vallata. Pochi anni dopo, nel 1306, fu la volta degli Ubaldini, ridimensionati e ricacciati nelle valli appenniniche dopo la conquista della loro piazzaforte di Montaccianico, anch’essa rasa al suolo. In quei pressi Firenze promosse l’edificazione della Terra nuova di Castel san Barnaba, che in seguito si prese a denominare Scarperia. L’insediamento, murato, munito da un forte cassero e soprattutto posto in posizione privilegiata verso i valici appenninici, divenne ben presto sede del potere fiorentino nella zona.
Già nel 1322 era insediato a Scarperia il capitano di una delle Leghe di contado, in quella data ancora intestata ai plebati di Sant’Agata e di Fagna. A partire dal 1355 si completò il circuito delle mura, mentre al centro della Terra si dette inizio alla costruzione del palazzo pubblico. Ormai sede stabile di un podestà, nel 1415 Scarperia divenne sede di uno dei tre Vicariati del contado fiorentino, che comprendeva undici Podesterie ed ebbe giurisdizione penale su quasi tutto il territorio in riva destra d’Arno. Quasi una piccola Provincia ante litteram.
Il palazzo dei Vicari di Scarperia, come molti palazzi pubblici toscani, ha le pareti istoriate con gli stemmi dei giusdicenti che per secoli si sono avvicendati nella carica. Sotto la loggia d’ingresso, confusi con gli stemmi gentilizi dei vicari, si trovano anche quelli con le insegne delle Podesterie comprese nel territorio del Vicariato. Si tratta di esemplari significativi, in relazione al contesto ufficiale nel quale appaiono e all’epoca della loro realizzazione con pittura a fresco, non troppo posteriore a quella in cui venne edificato il palazzo, e dunque nella seconda metà del XV secolo. Testimonianze preziose, nonostante le superfetazioni conseguenti a maldestri restauri.
L’insegna «della Scarperia», capoluogo del Vicariato, rappresenta la figura del santo patrono, san Barnaba, al quale i fiorentini erano particolarmente devoti perché nel giorno della sua ricorrenza erano stati battuti gli aretini a Campaldino (11 giugno 1289). San Barnaba è dipinto in campo bianco a figura intera con lunga barba e aureola d’oro, vestito di tunica e mantello, con la bandiera fiorentina. Nei lacunari del Soffitto del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, più tardi di un secolo, il santo è invece rappresentato col vessillo fiorentino e un modellino della Terra murata al posto del libro.
L’insegna della Podesteria di Barberino si presenta tripartita, con simboli distinti per ognuna delle parti che la componevano. Il piviere di Santa Reparata di Pimonte è rappresentato dalla santa eponima, alla quale i fiorentini erano particolarmente devoti, tanto da intitolarle la primitiva cattedrale romanica; la si vede dipinta a figura intera, con il vessillo di Firenze nella mano destra e un libro nella sinistra. Il castello di Mangona ha per insegna parlante un màngano, macchina da guerra medievale simile a una catapulta. Infine, in basso, nella punta dello scudo, è rappresentata al naturale una testa umana barbuta, altra insegna parlante tuttora in uso – in campo azzurro – dal Comune di Barberino di Mugello.
Anche l’insegna della Lega di San Piero a Sieve rappresenta il santo patrono eponimo. L’Apostolo è rappresentato come un vegliardo barbuto e aureolato, a figura intera, che tiene nella mano destra il tipico attributo delle due chiavi e nella sinistra il libro dei Vangeli.
Alla Podesteria di Borgo San Lorenzo è invece attribuita un’insegna che lascia quanto meno perplessi. Come nei casi sopra recensiti troviamo la figura di un santo, tuttavia, invece del patrono eponimo Lorenzo, che si trova rappresentato nei blasonari di epoca granducale così come nello stemma tuttora in uso, troviamo inaspettatamente e inspiegabilmente la figura di san Martino che dona la metà del proprio mantello al povero, accantonata dalla croce del Popolo fiorentino. Le evidenti ridipinture, conseguenti a crolli di mura e intonaci in una zona fortemente sismica, fanno pensare a un grossolano errore dell’autore dei restauri che, confondendo gli attributi dei due santi, dipinse forse un san Martino credendo di dipingere un san Lorenzo.
Lo stemma della podesteria di Vicchio è, invece, rimasto inalterato nei secoli e tuttora in uso. Rappresenta un pino al naturale in campo azzurro, come allusione alla distrutta rocca guidinga di Ampiniana, in contrasto alla quale la Repubblica fiorentina fondò nel 1324 il castello di Vicchio. Al tronco dell’albero sono accostate due stelle d’oro a otto punte, in riferimento ai pivieri di Botena e Rostolena, i cui territori erano compresi nella podesteria.
L’insegna di Dicomano, infine, è composta da uno scudo inquartato. Come in altri casi simili vi si trovano rappresentate le diverse aggregazioni territoriali che si univano per formare una comunità più larga. Nel primo quarto, punto d’onore, troviamo l’insegna attribuibile alla sede della podesteria; vi si vede raffigurato in campo azzurro un leone d’oro che inalbera il vessillo bifido di Firenze, immediato riferimento al Marzocco, rafforzato dalla presenza della bandiera col giglio. Blasonari più tardi assegnano invece a Dicomano un calice d’oro in campo azzurro, a significare l’antico dominio che la Curia vescovile fiorentina ebbe su quel territorio. Nel secondo quarto l’insegna San Godenzo, con un monte all’italiana di sei cime d’oro in campo azzurro, sormontato da una stella a otto raggi d’argento. Il terzo quarto presenta un leone d’argento in campo nero che sostiene nelle branche un cuore, figura parlante che allude al plebato di Corella. In basso a sinistra, infine, è raffigurato un pozzo esagonale coronato da un arco sostenente la carrucola, il tutto di rosso nel campo d’argento, facilmente identificabile come insegna parlante della ex contea del Pozzo.
Oltre a queste insegne, la loggia del palazzo mostra quelle delle altre cinque Podesterie comprese nel Vicariato del Mugello, per quanto al di fuori della vallata: Fiesole, Sesto, Campi, Signa e Carmignano. Questo assetto amministrativo rimase praticamente immutato fino alle riforme del 1774 promosse dal granduca Pietro Leopoldo, quando ogni Podesteria divenne sede di una propria Comunità. Anche il territorio San Piero a Sieve, che fin dal XV secolo era rimasto soggetto al podestà di Scarperia, pur con competenze proprie, venne eretto in comunità autonoma. Nel 1809 tuttavia l’amministrazione francese che in quegli anni governava la Toscana distaccò parte del territorio di San Piero creando la Mairie di Vaglia, rimasta in essere anche dopo la restaurazione. Con l’Unità d’Italia il territorio venne aggregato alla Provincia di Firenze; i singoli Comuni intanto assunsero stemmi spesso del tutto diversi da quelli medievali rappresentati nel fregio araldico del palazzo dei Vicari di Scarperia, rendendoli così testimonianze ancor più preziose.
Terra d’origine di Giotto e della famiglia Medici, la vallata mugellana è tuttora votata all’agricoltura e all’allevamento, in particolare quello dei bovini; celebre anche l’artigianato dei coltelli, a Scarperia. In tempi recenti, una serie di interventi ha, in qualche modo, segnato il volto del territorio; tra questi la costruzione dei collegamenti autostradali e ferroviari di alta velocità tra Bologna Firenze, dell’invaso di Bilancino, che con i suoi 5 kmq è diventato il più vasto lago della Toscana, e dell’autodromo internazionale, centro d’attrazione per gli appassionati degli sport motoristici. Dal punto di vista amministrativo si segnala invece l’accorpamento dei territori di Scarperia e San Piero a Sieve, a far data dal 1 gennaio 2014; la nuova entità ha assunto la denominazione Comune di Scarperia e San Piero, con sede municipale a Scarperia.
Nota a cura di Michele Turchi
Bibliografia
– E. Repetti, Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana, Firenze 1833-46.
– L. Passerini, Le armi dei Municipj Toscani, Firenze 1864.
– L. Chini, Storia antica e moderna del Mugello, Firenze 1876.
– F. Niccolai, Mugello e Val di Sieve: guida topografica, storico-artistica illustrata, Borgo S. Lorenzo, 1914.
– L. Borgia, Introduzione allo studio dell’araldica civica italiana con particolare riferimento alla Toscana, in Gli stemmi dei Comuni Toscani al 1860, a cura di G.P. Pagnini, Firenze 1991.
– G.C. Romby, Nel Vicariato di Scarperia prima e dopo Lorenzo il Magnifico, Brescia 1992.
– V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana, Firenze 2006.
– Scarperia settecento anni. Tracce e memoria di una “Terra nuova”, a cura di G. Cherubini, Firenze 2006.
– M. Branca, Gli stemmi del Palazzo dei Vicari, in Palazzo dei Vicari a Scarperia e Raccolta d’arte sacra “Don Corrado Paoli” a Sant’Agata, a cura di A. Bisceglia, Firenze 2008.
– Museo Archeologico Comprensoriale del Mugello e della Val di Sieve. Guida al Museo, Dicomano 2012.
LEGENDA
Con il coronimo Mugello si definisce l’alta valle del fiume Sieve, maggiore affluente d’Arno a monte di Firenze, posta tra la catena appenninica e la vallata fiorentina, dalla quale è separata da una serie di rilevi, i maggiori dei quali sono la Calvana, Monte Morello, Monte Senario e Monte Giovi. S’intende generalmente per Mugello, precisa il geografo Repetti, «la porzione superiore e occidentale della vallata, a partire dall’origine della fiumana Stura sino alla confluenza in Sieve del torrente Dicomano».
Numerose testimonianze archeologiche dimostrano con chiarezza la presenza nella vallata di gruppi umani più o meno stabili fin dal Paleolitico. La tradizione vuole che vi fosse insediata la tribù dei Magelli, la più orientale del popolo dei Liguri, dalla quale il territorio avrebbe preso il proprio nome. Ben documentata è invece la presenza etrusca, nonostante in passato si ritenesse che questo popolo non avesse occupato i territori a nord dell’Arno.
Nel corso del Medioevo vi si insediarono potenti stirpi feudali, quali gli Ubaldini (1) e, più a levante, i conti Guidi del ramo di Battifolle (2). La porzione di territorio più meridionale fu invece largamente soggetta al vescovo di Firenze e, più marginalmente, a quello di Fiesole.
Fu contro questi poteri che si venne a scontrare la città di Firenze quando, nel corso del XIII secolo, orientò le proprie mire sul controllo diretto del proprio contado, controllo essenziale sia per garantirsi le derrate necessarie al sostentamento della città sia per il libero accesso alle vie di comunicazione, di vitale importanza per i commerci. E dal Mugello transitava quella importantissima che dava accesso a Bologna e alla Valle padana.
Nel 1291, dopo aspre contese, Firenze ebbe ragione dei conti Guidi che detenevano il forte castello di Ampiniana, appartenente al ramo da Battifolle. Fatto radere al suolo il castello, nel 1324 venne circondato da mura il vicino borgo di Vicchio, creando un antemurale a levante della vallata. Pochi anni dopo, nel 1306, fu la volta degli Ubaldini, ridimensionati e ricacciati nelle valli appenniniche dopo la conquista della loro piazzaforte di Montaccianico, anch’essa rasa al suolo. In quei pressi Firenze promosse l’edificazione della Terra nuova di Castel san Barnaba, che in seguito si prese a denominare Scarperia. L’insediamento, murato, munito da un forte cassero e soprattutto posto in posizione privilegiata verso i valici appenninici, divenne ben presto sede del potere fiorentino nella zona.
Già nel 1322 era insediato a Scarperia il capitano di una delle Leghe di contado, in quella data ancora intestata ai plebati di Sant’Agata e di Fagna. A partire dal 1355 si completò il circuito delle mura, mentre al centro della Terra si dette inizio alla costruzione del palazzo pubblico. Ormai sede stabile di un podestà, nel 1415 Scarperia divenne sede di uno dei tre Vicariati del contado fiorentino, che comprendeva undici Podesterie ed ebbe giurisdizione penale su quasi tutto il territorio in riva destra d’Arno. Quasi una piccola Provincia ante litteram.
Il palazzo dei Vicari di Scarperia, come molti palazzi pubblici toscani, ha le pareti istoriate con gli stemmi dei giusdicenti che per secoli si sono avvicendati nella carica. Sotto la loggia d’ingresso, confusi con gli stemmi gentilizi dei vicari, si trovano anche quelli con le insegne delle Podesterie comprese nel territorio del Vicariato. Si tratta di esemplari significativi, in relazione al contesto ufficiale nel quale appaiono e all’epoca della loro realizzazione con pittura a fresco, non troppo posteriore a quella in cui venne edificato il palazzo, e dunque nella seconda metà del XV secolo. Testimonianze preziose, nonostante le superfetazioni conseguenti a maldestri restauri.
L’insegna «della Scarperia», capoluogo del Vicariato, rappresenta la figura del santo patrono, san Barnaba, al quale i fiorentini erano particolarmente devoti perché nel giorno della sua ricorrenza erano stati battuti gli aretini a Campaldino (11 giugno 1289). San Barnaba è dipinto in campo bianco a figura intera con lunga barba e aureola d’oro, vestito di tunica e mantello, con la bandiera fiorentina. Nei lacunari del Soffitto del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, più tardi di un secolo, il santo è invece rappresentato col vessillo fiorentino e un modellino della Terra murata al posto del libro.
L’insegna della Podesteria di Barberino si presenta tripartita, con simboli distinti per ognuna delle parti che la componevano. Il piviere di Santa Reparata di Pimonte è rappresentato dalla santa eponima, alla quale i fiorentini erano particolarmente devoti, tanto da intitolarle la primitiva cattedrale romanica; la si vede dipinta a figura intera, con il vessillo di Firenze nella mano destra e un libro nella sinistra. Il castello di Mangona ha per insegna parlante un màngano, macchina da guerra medievale simile a una catapulta. Infine, in basso, nella punta dello scudo, è rappresentata al naturale una testa umana barbuta, altra insegna parlante tuttora in uso – in campo azzurro – dal Comune di Barberino di Mugello.
Anche l’insegna della Lega di San Piero a Sieve rappresenta il santo patrono eponimo. L’Apostolo è rappresentato come un vegliardo barbuto e aureolato, a figura intera, che tiene nella mano destra il tipico attributo delle due chiavi e nella sinistra il libro dei Vangeli.
Alla Podesteria di Borgo San Lorenzo è invece attribuita un’insegna che lascia quanto meno perplessi. Come nei casi sopra recensiti troviamo la figura di un santo, tuttavia, invece del patrono eponimo Lorenzo, che si trova rappresentato nei blasonari di epoca granducale così come nello stemma tuttora in uso, troviamo inaspettatamente e inspiegabilmente la figura di san Martino che dona la metà del proprio mantello al povero, accantonata dalla croce del Popolo fiorentino. Le evidenti ridipinture, conseguenti a crolli di mura e intonaci in una zona fortemente sismica, fanno pensare a un grossolano errore dell’autore dei restauri che, confondendo gli attributi dei due santi, dipinse forse un san Martino credendo di dipingere un san Lorenzo.
Lo stemma della podesteria di Vicchio è, invece, rimasto inalterato nei secoli e tuttora in uso. Rappresenta un pino al naturale in campo azzurro, come allusione alla distrutta rocca guidinga di Ampiniana, in contrasto alla quale la Repubblica fiorentina fondò nel 1324 il castello di Vicchio. Al tronco dell’albero sono accostate due stelle d’oro a otto punte, in riferimento ai pivieri di Botena e Rostolena, i cui territori erano compresi nella podesteria.
L’insegna di Dicomano, infine, è composta da uno scudo inquartato. Come in altri casi simili vi si trovano rappresentate le diverse aggregazioni territoriali che si univano per formare una comunità più larga. Nel primo quarto, punto d’onore, troviamo l’insegna attribuibile alla sede della podesteria; vi si vede raffigurato in campo azzurro un leone d’oro che inalbera il vessillo bifido di Firenze, immediato riferimento al Marzocco, rafforzato dalla presenza della bandiera col giglio. Blasonari più tardi assegnano invece a Dicomano un calice d’oro in campo azzurro, a significare l’antico dominio che la Curia vescovile fiorentina ebbe su quel territorio. Nel secondo quarto l’insegna San Godenzo, con un monte all’italiana di sei cime d’oro in campo azzurro, sormontato da una stella a otto raggi d’argento. Il terzo quarto presenta un leone d’argento in campo nero che sostiene nelle branche un cuore, figura parlante che allude al plebato di Corella. In basso a sinistra, infine, è raffigurato un pozzo esagonale coronato da un arco sostenente la carrucola, il tutto di rosso nel campo d’argento, facilmente identificabile come insegna parlante della ex contea del Pozzo.
Oltre a queste insegne, la loggia del palazzo mostra quelle delle altre cinque Podesterie comprese nel Vicariato del Mugello, per quanto al di fuori della vallata: Fiesole, Sesto, Campi, Signa e Carmignano. Questo assetto amministrativo rimase praticamente immutato fino alle riforme del 1774 promosse dal granduca Pietro Leopoldo, quando ogni Podesteria divenne sede di una propria Comunità. Anche il territorio San Piero a Sieve, che fin dal XV secolo era rimasto soggetto al podestà di Scarperia, pur con competenze proprie, venne eretto in comunità autonoma. Nel 1809 tuttavia l’amministrazione francese che in quegli anni governava la Toscana distaccò parte del territorio di San Piero creando la Mairie di Vaglia, rimasta in essere anche dopo la restaurazione. Con l’Unità d’Italia il territorio venne aggregato alla Provincia di Firenze; i singoli Comuni intanto assunsero stemmi spesso del tutto diversi da quelli medievali rappresentati nel fregio araldico del palazzo dei Vicari di Scarperia, rendendoli così testimonianze ancor più preziose.
Terra d’origine di Giotto e della famiglia Medici, la vallata mugellana è tuttora votata all’agricoltura e all’allevamento, in particolare quello dei bovini; celebre anche l’artigianato dei coltelli, a Scarperia. In tempi recenti, una serie di interventi ha, in qualche modo, segnato il volto del territorio; tra questi la costruzione dei collegamenti autostradali e ferroviari di alta velocità tra Bologna Firenze, dell’invaso di Bilancino, che con i suoi 5 kmq è diventato il più vasto lago della Toscana, e dell’autodromo internazionale, centro d’attrazione per gli appassionati degli sport motoristici. Dal punto di vista amministrativo si segnala invece l’accorpamento dei territori di Scarperia e San Piero a Sieve, a far data dal 1 gennaio 2014; la nuova entità ha assunto la denominazione Comune di Scarperia e San Piero, con sede municipale a Scarperia.
Nota a cura di Michele Turchi
Bibliografia
– E. Repetti, Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana, Firenze 1833-46.
– L. Passerini, Le armi dei Municipj Toscani, Firenze 1864.
– L. Chini, Storia antica e moderna del Mugello, Firenze 1876.
– F. Niccolai, Mugello e Val di Sieve: guida topografica, storico-artistica illustrata, Borgo S. Lorenzo, 1914.
– L. Borgia, Introduzione allo studio dell’araldica civica italiana con particolare riferimento alla Toscana, in Gli stemmi dei Comuni Toscani al 1860, a cura di G.P. Pagnini, Firenze 1991.
– G.C. Romby, Nel Vicariato di Scarperia prima e dopo Lorenzo il Magnifico, Brescia 1992.
– V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana, Firenze 2006.
– Scarperia settecento anni. Tracce e memoria di una “Terra nuova”, a cura di G. Cherubini, Firenze 2006.
– M. Branca, Gli stemmi del Palazzo dei Vicari, in Palazzo dei Vicari a Scarperia e Raccolta d’arte sacra “Don Corrado Paoli” a Sant’Agata, a cura di A. Bisceglia, Firenze 2008.
– Museo Archeologico Comprensoriale del Mugello e della Val di Sieve. Guida al Museo, Dicomano 2012.
LEGENDA