Valdarno Inferiore
Facendo fede al geografo Emanuele Repetti, per Valdarno inferiore si intende il bacino del fiume compreso tra la stretta della Gonfolina e «le ultime diramazioni subappennine di Montefalcone e di Montopoli», allo sbocco dei canali dell’Usciana e delle Seresse. È caratterizzato dalla presenza di una vasta zona umida, il Padule di Fucecchio, relitto dell’ampio bacino lacustre che nel Pliocene occupava l’intera vallata. Per lungo tempo stagnante e malsano, fu rifuggito dalle popolazioni che tendevano ad allontanarsi fondando insediamenti lungo la cintura collinare circostante; al tempo stesso il Padule ha costituito una barriera difensiva a lungo sfruttata come risorsa strategica naturale. Per questo motivo, oltre alle risorse ittiche, da un lato si tendeva a preservarlo, mentre dall’altro se ne prospettava la bonifica per sfruttarlo a uso agricolo.
La Toscana medievale era attraversata da due grandi direttrici. Se la via Romea (o Francigena) tagliava tutta la regione da Nord a Sud, dal passo della Cisa fino a Radicofani, altrettanto cruciale era la direttrice che seguendo la valle dell’Arno – a quell’epoca navigabile – collegava il porto di Pisa con le città dell’interno, in primo luogo Firenze. Le due vie si incrociavano nel Valdarno inferiore e non è per caso che l’imperatore Ottone I abbia posto nel castello San Miniato, opportunamente fortificato e dotato di mura, la sede del proprio vicario in Toscana. Oltre a questo il Valdarno inferiore costituiva una zona di confine nella quale fin dal primo Medioevo si confrontarono gli interessi di potenti schiatte feudali e dei vescovi delle maggiori città della Toscana Nord Occidentale. Tutto questo contribuì a conferire a quest’area un notevole rilievo strategico, favorendo al tempo stesso lo sviluppo di intensi traffici commerciali e la crescita di consistenti centri gelosi della propria autonomia.
Quando, nel 1115, la contessa Matilde di Canossa morì senza lasciare eredi diretti, la Marca di Tuscia, pur formalmente soggetta a un vicario imperiale, praticamente si dissolse sotto l’azione delle potenti schiatte locali. La quasi contemporanea estinzione della casata dei Cadolingi (1113) lasciò il campo aperto alle potenti stirpi comitali dei Guidi e degli Alberti, gli interessi delle quali convergevano in Valdelsa e nel Valdarno inferiore. L’arme dei Guidi (v. zona storica del Casentino) era un Inquartato in croce di sant’Andrea d’argento e di rosso, al leone dell’uno nell’altro (1). I conti Alberti (v. zona storica della Valdelsa) alzavano invece uno scudo partito, la seconda parte del quale si blasonava D’oro, a tre fasce d’azzurro, probabilmente la loro arme più antica (2).
In questo scenario non tardarono a inserirsi le città di Lucca, Pisa – protagoniste di ricorrenti scontri armati – Pistoia e in seguito Firenze, che dal quarto decennio del Trecento riuscì ad affermare il proprio predominio nella vallata.
Fin dal XII secolo, tuttavia, anche i Comuni minori rivendicarono la propria autonomia, entrando ben presto in conflitto con l’autorità imperiale per il controllo del proprio contado. Autorità imperiale che aveva posto la sede del proprio vicario presso il castello di San Miniato, per questo motivo detto “al Tedesco”, grazie alla sua posizione favorevole nei confronti della viabilità, equidistante tra i maggiori centri cittadini. Attorno al castello fin dal XII secolo ebbe una forte espansione un ampio borgo d’altura, distinto da quello murato, che ben presto sviluppò ordinamenti comunali, frenati tuttavia dall’ingombrante presenza sveva. Una volta entrato nell’orbita fiorentina, San Miniato ebbe un ulteriore sviluppo, fino a divenire sede di Vicariato (1370) e sede di una propria diocesi (1622). Alzò come insegna un leone d’argento in campo rosso, coronato d’oro (ma non negli esemplari più risalenti) e armato di spada (1).
Sull’opposta sponda dell’Arno sorgeva Fucecchio, sviluppatosi attorno al castello e all’abbazia di San Salvatore, fatti edificare nell’XI secolo dai conti Cadolingi di Pistoia. Acquisita importanza in funzione della prossimità al “passo” d’Arno della Francigena, fu soggetta a vicari ora imperiali, ora lucchesi, mantenendo tuttavia ampi margini di autonomia. Nel 1314, in seguito all’avvento di Uguccione della Faggiuola come signore di Lucca, i cittadini di Fucecchio preferirono giurare fedeltà ai fiorentini, insieme ad altre terre del Valdarno inferiore. Lo stemma di Fucecchio, menzionato fin dal 1293, è costituito da un leone balzano che impugna una ferza; è quanto meno significativa la corrispondenza della bicromia dello scudo civico con le denominazioni del doppio “passo” fluviale, che già l’itinerario di Sigerico segnalava nel 990 come «Arne Blanca» e «Aqua Nigra».
A valle di San Miniato troviamo Montopoli, terra murata di origine castrale sulla quale fino a tutto il XII secolo esercitarono il diritto civile ed ecclesiastico i vescovi di Lucca. Posto presso i confini di più contadi, fu a lungo conteso tra Lucca, Pisa e Firenze, finché nel 1349 si sottopose e giurò fedeltà alla città del Giglio, che vi insediò un vicario per il Val d’Arno di sotto, finché nel 1370, con l’acquisto di San Miniato, la sede dell’ufficiale venne trasferita in quella località. Montopoli alzava un’insegna parlante con due topi – figura rara in araldica – salienti su un monte all’italiana (1), insegna che troneggiava su un carro da parata che sfilava per le vie fiorentine in occasione della festa patronale.
Sulla opposta riva dell’Arno resta Castelfranco di Sotto, secondo la tradizione fondata nel 1215 come Terra nuova dai conti Cadolingi, che la dotarono di mura attorno a un impianto ortogonale; la nuova fondazione venne popolata con gli abitanti dei preesistenti villaggi di San Bartolomeo a Paterno, San Michele in Carpugnana, San Piero a Vigesimo e San Martino in Catiana. Inizialmente denominata Vigesimo, assunse la denominazione attuale un secolo dopo, in conseguenza dell’abolizione delle imposte per favorirne il popolamento. Una volta pervenuta nel Dominio fiorentino venne eretta a sede di Podesteria, con giurisdizione sulle leghe di Montopoli, Santa Maria a Monte e Montecalvoli. Alzò per insegna le chiavi di san Pietro, titolare della locale chiesa collegiata, accantonata da quattro crocette in riferimento ai villaggi che vi si aggregarono (2).
Vinci e Cerreto, forti sedi castrali dei Guidi, pervennero nel dominio fiorentino nei primi anni del XIV secolo, accomunate sotto la giurisdizione di un unico podestà, che a partire dal 1475 risedette alternativamente fra i due centri. Per questo motivo le due insegne si trovano spesso accollate in un unico scudo, che presenta il ben noto cerro parlante di Cerreto nella prima partizione e il castello di Vinci nella seconda (3).
Tra le località che non furono sede di Podesteria si segnalano Santa Croce, soggetta a Fucecchio, che alzava un’insegna caratterizzata da mezzo giglio accollato a mezza croce, l’ordine dei quali – a giudicare dalle attestazioni note – non era troppo ben definito (1).
L’insegna di Santa Maria a Monte, che invece dipendeva da Castelfranco di Sotto, era costituita da un leone tenente un vessillo (2), comune a molte altre Podesterie fiorentine, soprattutto nelle zone di confine. In epoca più tarda venne invece adottata l’insegna parlante con la Vergine assisa su un monte, tuttora in uso.
Anche Montecalvoli, soggetta allo stesso podestà, alzava uno stemma del tutto generico, forse derivato da un sigillo, a giudicare dalle poche attestazioni note. Mostra un castello biturrito, sul quale sventola il vessillo di Firenze (3). Nel XIX secolo fu invece adottato uno stemma parlante, costituito da un cavolo sostenuto da un monte.
Le Podesterie sopra menzionate, insieme a quella di Gambassi e Montaione in Valdelsa, erano sottoposte al Vicariato di San Miniato. La parte più a monte della vallata era invece sottoposta al Vicariato di Certaldo. Il centro di maggior rilevanza in questa parte di territorio fu Empoli. Sorta nel 1119 nei presi di un castello del quale restano memorie fin dal sec. VIII, fu una delle nuove fondazioni volute dai conti Guidi, signori del luogo, che ben presto si sviluppò come uno dei più attivi mercatali del contado, in particolare per il commercio dei cereali. Nel 1254 i Guidi cedettero per denaro la Terra alla repubblica di Firenze, che fin dal 1322 la eressero a capoluogo di una Lega (in seguito Podesteria) che comprendeva anche i Comuni di Monterappoli e Borgo Santa Fiora (oggi Ponte a Elsa). Fin dal XIII secolo Empoli ha alzato un’insegna con la figura del prospetto della Collegiata di Sant’Andrea (sec XI), la cui facciata in marmi policromi è uno dei maggiori monumenti del romanico toscano (1). Nel sigillo della Lega sono presenti anche le insegne degli altri due Comuni: una vite fruttata nodrita su un monte di sei cime, arme parlante di Monterappoli (2), e un ponte a tre arcate difeso da una torre per Borgo di Santa Fiora; col decadere di quest’ultima comunità, venne aggregato alla Lega empolese il Comune di Pontorme, che – a far fede alle insegne rappresentate nel Palazzo dei Vicari di Certaldo – portava per insegna una croce rossa accantonata dal giglio fiorentino (3).
Alla confluenza della Pesa sorge Montelupo, fatto edificare dai fiorentini a partire dal 1203 per contrastare il forte castello di Capraia, sull’opposta sponda dell’Arno. Secondo la tradizione il nome della nuovo castello viene fatto risalire al detto: «per distrugger questa Capra non ci vuol altro che un Lupo», immancabilmente riportato dalle cronache medievali. Anche l’insegna è parlante, costituita da un lupo saliente su un monte all’italiana, accostato da due gigli fiorentini (1).
Il castello di Capraia costituiva un baluardo per il controllo del corso dell’Arno a valle di Firenze, posto al centro di un feudo dei conti Alberti di Mangona. Le fonti più risalenti attribuiscono alla località uno scudo d’argento con sei torte azzurre poste in cinta (2), sostituito alla metà del XIX secolo da uno stemma con la figura parlante di una capra nera, saliente in campo argento.
Al momento dell’Unità d’Italia il territorio della valle era interamente compreso nel Compartimento Fiorentino, suddiviso tra dodici Comuni: Capraia, Castelfranco di Sotto, Cerreto Guidi, Empoli, Fucecchio, Montecalvoli, Montelupo (Fiorentino), Montopoli (in Val d’Arno), Santa Croce (sull’Arno), Santa Maria a Monte, San Miniato, Vinci; i determinativi posti tra parentesi vennero aggiunti alla denominazione ufficiale contestualmente alle riforme amministrative adottate dal Regno d’Italia nel 1865. Con la contemporanea creazione delle Province, l’intero territorio venne sottoposto a quella di Firenze.
Già pochi anni dopo si verificarono delle variazioni. Nel 1868 venne soppresso il Comune di Montecalvoli, annesso come frazione a Santa Maria a Monte. Nel 1874 la sede comunale di Capraia venne trasferita a Limite sull’Arno, formando una municipalità che assunse la denominazione di Capraia e Limite.
Nel 1925, nell’ambito di un vasto riassetto territoriale, i comuni di Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d’Arno, San Miniato, Santa Croce sull’Arno e Santa Maria a Monte vennero ceduti alla provincia di Pisa, alla quale sono tuttora annessi.
Nel Valdarno Inferiore, da sempre zona densamente abitata, si sono sviluppate attività industriali quali la produzione vetraria ad Empoli, quella della ceramica a Montelupo, i cantieri navali a Limite sull’Arno, fino al vasto distretto della concia delle pelli, che per certe tipologie pregiate ha rilevanza globale. Si segnalano inoltre la produzione di calzature, i mobilifici, le industrie chimiche e della plastica.
Nota a cura di Michele Turchi
Bibliografia
– E. Repetti, Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana, Firenze 1833-46.
– L. Passerini, Le armi dei Municipj Toscani, Firenze 1864.
– L’araldica. Fonti e Metodi, Atti del convegno internazionale, Campiglia Marittima, 6-8 marzo 1987, a cura di G. Vannini, Firenze 1989.
– L. Borgia, Introduzione allo studio dell’araldica civica italiana con particolare riferimento alla Toscana, in Gli stemmi dei Comuni Toscani al 1860, a cura di G.P. Pagnini, Firenze 1991.
– La via Francigena e altre strade della Toscana medievale, a cura di S. Patitucci Uggeri, Firenze, 2004.
– V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana, Firenze 2006, in particolare il capitolo L’organizzazione amministrativa e araldica di una “provincia” fiorentina.
– Il Valdarno Inferiore, terra di confine nel Medioevo (secoli XI-XV), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008
– L’araldica pubblica nel Valdarno Inferiore, a cura di P. Santini (Cerreto Guidi), E. Marcori (S. Croce sull’Arno), G. Manfredini (Castelfranco di Sotto), in: «Quaderni della Sezione Valdarno dell’Istituto Storico Lucchese», III (2013).
– M. Fiaschi, «Sic nos in sceptra reponis». Storia dello scudo di San Miniato, San Miniato 2019.
LEGENDA
Facendo fede al geografo Emanuele Repetti, per Valdarno inferiore si intende il bacino del fiume compreso tra la stretta della Gonfolina e «le ultime diramazioni subappennine di Montefalcone e di Montopoli», allo sbocco dei canali dell’Usciana e delle Seresse. È caratterizzato dalla presenza di una vasta zona umida, il Padule di Fucecchio, relitto dell’ampio bacino lacustre che nel Pliocene occupava l’intera vallata. Per lungo tempo stagnante e malsano, fu rifuggito dalle popolazioni che tendevano ad allontanarsi fondando insediamenti lungo la cintura collinare circostante; al tempo stesso il Padule ha costituito una barriera difensiva a lungo sfruttata come risorsa strategica naturale. Per questo motivo, oltre alle risorse ittiche, da un lato si tendeva a preservarlo, mentre dall’altro se ne prospettava la bonifica per sfruttarlo a uso agricolo.
La Toscana medievale era attraversata da due grandi direttrici. Se la via Romea (o Francigena) tagliava tutta la regione da Nord a Sud, dal passo della Cisa fino a Radicofani, altrettanto cruciale era la direttrice che seguendo la valle dell’Arno – a quell’epoca navigabile – collegava il porto di Pisa con le città dell’interno, in primo luogo Firenze. Le due vie si incrociavano nel Valdarno inferiore e non è per caso che l’imperatore Ottone I abbia posto nel castello San Miniato, opportunamente fortificato e dotato di mura, la sede del proprio vicario in Toscana. Oltre a questo il Valdarno inferiore costituiva una zona di confine nella quale fin dal primo Medioevo si confrontarono gli interessi di potenti schiatte feudali e dei vescovi delle maggiori città della Toscana Nord Occidentale. Tutto questo contribuì a conferire a quest’area un notevole rilievo strategico, favorendo al tempo stesso lo sviluppo di intensi traffici commerciali e la crescita di consistenti centri gelosi della propria autonomia.
Quando, nel 1115, la contessa Matilde di Canossa morì senza lasciare eredi diretti, la Marca di Tuscia, pur formalmente soggetta a un vicario imperiale, praticamente si dissolse sotto l’azione delle potenti schiatte locali. La quasi contemporanea estinzione della casata dei Cadolingi (1113) lasciò il campo aperto alle potenti stirpi comitali dei Guidi e degli Alberti, gli interessi delle quali convergevano in Valdelsa e nel Valdarno inferiore. L’arme dei Guidi (v. zona storica del Casentino) era un Inquartato in croce di sant’Andrea d’argento e di rosso, al leone dell’uno nell’altro (1). I conti Alberti (v. zona storica della Valdelsa) alzavano invece uno scudo partito, la seconda parte del quale si blasonava D’oro, a tre fasce d’azzurro, probabilmente la loro arme più antica (2).
In questo scenario non tardarono a inserirsi le città di Lucca, Pisa – protagoniste di ricorrenti scontri armati – Pistoia e in seguito Firenze, che dal quarto decennio del Trecento riuscì ad affermare il proprio predominio nella vallata.
Fin dal XII secolo, tuttavia, anche i Comuni minori rivendicarono la propria autonomia, entrando ben presto in conflitto con l’autorità imperiale per il controllo del proprio contado. Autorità imperiale che aveva posto la sede del proprio vicario presso il castello di San Miniato, per questo motivo detto “al Tedesco”, grazie alla sua posizione favorevole nei confronti della viabilità, equidistante tra i maggiori centri cittadini. Attorno al castello fin dal XII secolo ebbe una forte espansione un ampio borgo d’altura, distinto da quello murato, che ben presto sviluppò ordinamenti comunali, frenati tuttavia dall’ingombrante presenza sveva. Una volta entrato nell’orbita fiorentina, San Miniato ebbe un ulteriore sviluppo, fino a divenire sede di Vicariato (1370) e sede di una propria diocesi (1622). Alzò come insegna un leone d’argento in campo rosso, coronato d’oro (ma non negli esemplari più risalenti) e armato di spada (1).
Sull’opposta sponda dell’Arno sorgeva Fucecchio, sviluppatosi attorno al castello e all’abbazia di San Salvatore, fatti edificare nell’XI secolo dai conti Cadolingi di Pistoia. Acquisita importanza in funzione della prossimità al “passo” d’Arno della Francigena, fu soggetta a vicari ora imperiali, ora lucchesi, mantenendo tuttavia ampi margini di autonomia. Nel 1314, in seguito all’avvento di Uguccione della Faggiuola come signore di Lucca, i cittadini di Fucecchio preferirono giurare fedeltà ai fiorentini, insieme ad altre terre del Valdarno inferiore. Lo stemma di Fucecchio, menzionato fin dal 1293, è costituito da un leone balzano che impugna una ferza; è quanto meno significativa la corrispondenza della bicromia dello scudo civico con le denominazioni del doppio “passo” fluviale, che già l’itinerario di Sigerico segnalava nel 990 come «Arne Blanca» e «Aqua Nigra».
A valle di San Miniato troviamo Montopoli, terra murata di origine castrale sulla quale fino a tutto il XII secolo esercitarono il diritto civile ed ecclesiastico i vescovi di Lucca. Posto presso i confini di più contadi, fu a lungo conteso tra Lucca, Pisa e Firenze, finché nel 1349 si sottopose e giurò fedeltà alla città del Giglio, che vi insediò un vicario per il Val d’Arno di sotto, finché nel 1370, con l’acquisto di San Miniato, la sede dell’ufficiale venne trasferita in quella località. Montopoli alzava un’insegna parlante con due topi – figura rara in araldica – salienti su un monte all’italiana (1), insegna che troneggiava su un carro da parata che sfilava per le vie fiorentine in occasione della festa patronale.
Sulla opposta riva dell’Arno resta Castelfranco di Sotto, secondo la tradizione fondata nel 1215 come Terra nuova dai conti Cadolingi, che la dotarono di mura attorno a un impianto ortogonale; la nuova fondazione venne popolata con gli abitanti dei preesistenti villaggi di San Bartolomeo a Paterno, San Michele in Carpugnana, San Piero a Vigesimo e San Martino in Catiana. Inizialmente denominata Vigesimo, assunse la denominazione attuale un secolo dopo, in conseguenza dell’abolizione delle imposte per favorirne il popolamento. Una volta pervenuta nel Dominio fiorentino venne eretta a sede di Podesteria, con giurisdizione sulle leghe di Montopoli, Santa Maria a Monte e Montecalvoli. Alzò per insegna le chiavi di san Pietro, titolare della locale chiesa collegiata, accantonata da quattro crocette in riferimento ai villaggi che vi si aggregarono (2).
Vinci e Cerreto, forti sedi castrali dei Guidi, pervennero nel dominio fiorentino nei primi anni del XIV secolo, accomunate sotto la giurisdizione di un unico podestà, che a partire dal 1475 risedette alternativamente fra i due centri. Per questo motivo le due insegne si trovano spesso accollate in un unico scudo, che presenta il ben noto cerro parlante di Cerreto nella prima partizione e il castello di Vinci nella seconda (3).
Tra le località che non furono sede di Podesteria si segnalano Santa Croce, soggetta a Fucecchio, che alzava un’insegna caratterizzata da mezzo giglio accollato a mezza croce, l’ordine dei quali – a giudicare dalle attestazioni note – non era troppo ben definito (1).
L’insegna di Santa Maria a Monte, che invece dipendeva da Castelfranco di Sotto, era costituita da un leone tenente un vessillo (2), comune a molte altre Podesterie fiorentine, soprattutto nelle zone di confine. In epoca più tarda venne invece adottata l’insegna parlante con la Vergine assisa su un monte, tuttora in uso.
Anche Montecalvoli, soggetta allo stesso podestà, alzava uno stemma del tutto generico, forse derivato da un sigillo, a giudicare dalle poche attestazioni note. Mostra un castello biturrito, sul quale sventola il vessillo di Firenze (3). Nel XIX secolo fu invece adottato uno stemma parlante, costituito da un cavolo sostenuto da un monte.
Le Podesterie sopra menzionate, insieme a quella di Gambassi e Montaione in Valdelsa, erano sottoposte al Vicariato di San Miniato. La parte più a monte della vallata era invece sottoposta al Vicariato di Certaldo. Il centro di maggior rilevanza in questa parte di territorio fu Empoli. Sorta nel 1119 nei presi di un castello del quale restano memorie fin dal sec. VIII, fu una delle nuove fondazioni volute dai conti Guidi, signori del luogo, che ben presto si sviluppò come uno dei più attivi mercatali del contado, in particolare per il commercio dei cereali. Nel 1254 i Guidi cedettero per denaro la Terra alla repubblica di Firenze, che fin dal 1322 la eressero a capoluogo di una Lega (in seguito Podesteria) che comprendeva anche i Comuni di Monterappoli e Borgo Santa Fiora (oggi Ponte a Elsa). Fin dal XIII secolo Empoli ha alzato un’insegna con la figura del prospetto della Collegiata di Sant’Andrea (sec XI), la cui facciata in marmi policromi è uno dei maggiori monumenti del romanico toscano (1). Nel sigillo della Lega sono presenti anche le insegne degli altri due Comuni: una vite fruttata nodrita su un monte di sei cime, arme parlante di Monterappoli (2), e un ponte a tre arcate difeso da una torre per Borgo di Santa Fiora; col decadere di quest’ultima comunità, venne aggregato alla Lega empolese il Comune di Pontorme, che – a far fede alle insegne rappresentate nel Palazzo dei Vicari di Certaldo – portava per insegna una croce rossa accantonata dal giglio fiorentino (3).
Alla confluenza della Pesa sorge Montelupo, fatto edificare dai fiorentini a partire dal 1203 per contrastare il forte castello di Capraia, sull’opposta sponda dell’Arno. Secondo la tradizione il nome della nuovo castello viene fatto risalire al detto: «per distrugger questa Capra non ci vuol altro che un Lupo», immancabilmente riportato dalle cronache medievali. Anche l’insegna è parlante, costituita da un lupo saliente su un monte all’italiana, accostato da due gigli fiorentini (1).
Il castello di Capraia costituiva un baluardo per il controllo del corso dell’Arno a valle di Firenze, posto al centro di un feudo dei conti Alberti di Mangona. Le fonti più risalenti attribuiscono alla località uno scudo d’argento con sei torte azzurre poste in cinta (2), sostituito alla metà del XIX secolo da uno stemma con la figura parlante di una capra nera, saliente in campo argento.
Al momento dell’Unità d’Italia il territorio della valle era interamente compreso nel Compartimento Fiorentino, suddiviso tra dodici Comuni: Capraia, Castelfranco di Sotto, Cerreto Guidi, Empoli, Fucecchio, Montecalvoli, Montelupo (Fiorentino), Montopoli (in Val d’Arno), Santa Croce (sull’Arno), Santa Maria a Monte, San Miniato, Vinci; i determinativi posti tra parentesi vennero aggiunti alla denominazione ufficiale contestualmente alle riforme amministrative adottate dal Regno d’Italia nel 1865. Con la contemporanea creazione delle Province, l’intero territorio venne sottoposto a quella di Firenze.
Già pochi anni dopo si verificarono delle variazioni. Nel 1868 venne soppresso il Comune di Montecalvoli, annesso come frazione a Santa Maria a Monte. Nel 1874 la sede comunale di Capraia venne trasferita a Limite sull’Arno, formando una municipalità che assunse la denominazione di Capraia e Limite.
Nel 1925, nell’ambito di un vasto riassetto territoriale, i comuni di Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d’Arno, San Miniato, Santa Croce sull’Arno e Santa Maria a Monte vennero ceduti alla provincia di Pisa, alla quale sono tuttora annessi.
Nel Valdarno Inferiore, da sempre zona densamente abitata, si sono sviluppate attività industriali quali la produzione vetraria ad Empoli, quella della ceramica a Montelupo, i cantieri navali a Limite sull’Arno, fino al vasto distretto della concia delle pelli, che per certe tipologie pregiate ha rilevanza globale. Si segnalano inoltre la produzione di calzature, i mobilifici, le industrie chimiche e della plastica.
Nota a cura di Michele Turchi
Bibliografia
– E. Repetti, Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana, Firenze 1833-46.
– L. Passerini, Le armi dei Municipj Toscani, Firenze 1864.
– L’araldica. Fonti e Metodi, Atti del convegno internazionale, Campiglia Marittima, 6-8 marzo 1987, a cura di G. Vannini, Firenze 1989.
– L. Borgia, Introduzione allo studio dell’araldica civica italiana con particolare riferimento alla Toscana, in Gli stemmi dei Comuni Toscani al 1860, a cura di G.P. Pagnini, Firenze 1991.
– La via Francigena e altre strade della Toscana medievale, a cura di S. Patitucci Uggeri, Firenze, 2004.
– V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana, Firenze 2006, in particolare il capitolo L’organizzazione amministrativa e araldica di una “provincia” fiorentina.
– Il Valdarno Inferiore, terra di confine nel Medioevo (secoli XI-XV), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008
– L’araldica pubblica nel Valdarno Inferiore, a cura di P. Santini (Cerreto Guidi), E. Marcori (S. Croce sull’Arno), G. Manfredini (Castelfranco di Sotto), in: «Quaderni della Sezione Valdarno dell’Istituto Storico Lucchese», III (2013).
– M. Fiaschi, «Sic nos in sceptra reponis». Storia dello scudo di San Miniato, San Miniato 2019.
LEGENDA