Valdelsa


Informazioni

Nell’anno del Signore 990 l’arcivescovo di Canterbury Sigerico intraprese il viaggio di ritorno da Roma, dove aveva ricevuto il pallio dalle mani del pontefice. Per una fortunata coincidenza il diario del suo itinerario si è conservato, permettendoci di tracciarlo attraverso le ottanta tappe da lui annotate, in gran parte ancora identificabili. L’itinerario percorso, noto come via Romea o Francigena, provenendo da Siena si snodava attraverso le colline allineate sulla sinistra idrografica del fiume Elsa, con tappe a Pieve d’Elsa (Aelse), Molino d’Aiano (Sancte Martin in Fosse), San Gimignano (Sancte Gemiane), Pieve di Chianni (Sancte Maria Glan.), Pieve di Coiano (Sancte Peter Currant), Borgo San Genesio (Sancte Dionisii), prima di affrontare il passo dell’Arno presso Fucecchio (Arne Blanca).

La valle del fiume Elsa, uno dei maggiori affluenti di sinistra dell’Arno, a causa dell’andamento Nord-Sud costituisce una via di facilitazione per le comunicazioni fra Valdarno inferiore e Senese, sfruttata fin dalla più remota antichità. Gli itinerari collinari utilizzati nella tarda Antichità e nell’Alto Medioevo si spostarono progressivamente verso il fondovalle, offrendo una più facile percorribilità a mercanti e pellegrini, segnata da borghi popolosi e pieni di vita, pievi, monasteri e ospedali in grado di soddisfare ogni necessità. Questo fece sì che nel Medioevo la fertile valle fosse una delle aree più densamente popolate dell’intera Europa.

Il territorio in oggetto attrasse gli interessi di molte famiglie comitali (Alberti, Aldobrandeschi, Cadolingi, Gherardeschi, Guidi, lambardi di Staggia), la maggior parte delle quali non avevano nella valle il nucleo principale dei loro possessi. Tra queste emersero i Guidi (1), nella parte meridionale della valle, e soprattutto gli Alberti. Potente dinastia arricchitasi grazie all’acquisizione dell’eredità cadolingia, furono conti di Prato e fecero di Vernio, Mangona e Certaldo i propri centri di potere, ben posizionati lungo le principali arterie viarie e i valici appenninici. I conti Alberti – da non confondersi con l’omonima famiglia fiorentina – alzavano uno scudo partito, la seconda parte del quale si blasonava D’oro, a tre fasce d’azzurro, probabilmente la loro arme più antica (2).

 

 

Forte influenza ebbe anche il vescovo di Volterra, la cui diocesi si estendeva in riva sinistra dell’Elsa. L’influenza del suo omologo fiorentino, al quale fu soggetto il territorio sulla sponda opposta, fu invece molto più blanda.

L’indebolimento dei lignaggi feudali e la conflittualità tra potere laico ed ecclesiastico favorì, fin dai primi decenni del XII secolo, l’autonomia dei principali insediamenti, quasi tutti di origine castrense, soggetti a un rapido sviluppo grazie alle opportunità offerte dalla presenza della via Francigena. Tra questi le comunità dell’alta Valdelsa, più distanti dai centri di potere, si svilupparono precocemente rispetto al resto della valle, dove ancora era ben saldo il potere dei conti Alberti.

San Gimignano si sviluppò da un castrum, menzionato per la prima volta nel 929, fino a raggiungere una sostanziale autonomia politica sotto l’egida di una coesa aristocrazia locale, che permise lo sviluppo delle attività mercantili, prima fra tutte il commercio dello zafferano, che raggiunse piazze anche molto lontane. La cittadina, che ancora conserva parte del suo turrito aspetto medievale, consolidò tuttavia il proprio contado verso le colline volterrane, piuttosto che verso la valle dell’Elsa.

Come evidenzia il fregio araldico della Maestà di Lippo Memmi, nella sala del Consiglio del locale Palazzo del Podestà (1317), San Gimignano faceva uso di insegne distinte per il Comune e per il Popolo. La prima, di più antica origine, era costituita da una balzana rosso-oro (1), alla quale la seconda sovrapponeva la figura di un leone che tiene lo scudetto con i gigli di Francia (2).

 

 

Lo sviluppo di Colle (oggi Colle Valdelsa) fu invece legato essenzialmente alle attività artigianali, specializzate in particolare nella lavorazione della lana, della carta e del vetro; vocazione manifatturiera che si concretizzò anche in importanti opere pubbliche, prima fra tutte la canalizzazione del corso dell’Elsa. Entrata nell’orbita fiorentina verso la fine del XIII secolo, Colle mantenne la propria libertà comunale fino alla sua aggregazione al Granducato mediceo. La cittadina portava per insegna una testa equina, che alludeva al toponimo per mezzo dell’assonanza tra collo e Colle (1).

Poggibonsi (Podium Bonizzi), già esistente come castrum a protezione della potente abbazia di Marturi, fu invece rifondata nel 1155, al tempo del passaggio del Barbarossa dalla Toscana, grazie all’iniziativa del conte Guido Guerra con il sostegno determinate del Comune di Siena. Posizionata all’altezza della diramazione della Francigena diretta a Firenze, la sua fondazione ebbe un senso strategico-politico dichiaratamente antifiorentino, nonostante si trovasse compresa nella diocesi della città del giglio. La felice posizione la portò a prosperare, fino a contare cinquemila abitanti nel XIII secolo.

Ebbe per insegna un leone d’oro in campo rosso, richiamo evidente all’arme dei fondatori, i conti Guidi. All’epoca della sottomissione a Firenze, sottoposta al Vicariato di Certaldo, aggiunse al proprio stemma i gigli angioini (2).

 

 

Nella media Valdelsa si sviluppò fin dagli inizi del XII secolo il borgo di Certaldo, a valle di un castello dei conti Alberti. Assoggettata a Firenze fin dal 1198, nel XIII secolo fu sede di Lega e Podesteria, e dal 1415 di uno dei tre Vicariati del contado, quello di Valdelsa. Alzò per insegna la figura di uno dei propri prodotti più tipici, la cipolla rossa, che si vede rappresentata anche nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Nel locale Palazzo dei Vicari la cipolla si trova più volte inserita in un partito bianco-rosso, aumentato dal Capo d’Angiò (1). Il Vicariato della Valdelsa ebbe una insegna propria, costituita dalla figura di un leone al naturale, accantonata dal giglio fiorentino (2).

 

 

Discendendo la valle si trova Castelfiorentino, dove fin dal 1126 si rileva un condominio signorile dei conti Alberti e del vescovo fiorentino. Denominato in origine Castel Timignano, fu centro fortificato di rilievo, del quale si hanno memorie fin dal X secolo. Presso il castello si sviluppò un popoloso borgo, favorito dalla posizione lungo l’importante via Francigena, alla testata del ponte che supera l’Elsa.

Sull’origine del nome, il geografo Repetti ipotizzava che «forse questo paese portò lo specifico di Fiorentino dalla giurisdizione civile e religiosa che vi ebbero di buon ora i vescovi di Firenze, se non piuttosto lo derivò dall’essere sul confine del contado dipendente da quella stessa città». Precocemente entrato nell’orbita di Firenze, fin dal XIII secolo ottenne da questa per la fedeltà costantemente dimostrata la concessione della propria arme piena (1).

Sulle colline che separano le valli dell’Elsa e della Pesa, al centro di una zona particolarmente votata alla produzione vinicola, sorge invece Montespertoli. Signori del borgo furono i discendenti di un ramo degli Alberti, che presero nome dalla località. Fin dai primi decenni del XIV secolo Montespertoli fu sede di una delle Leghe del contado fiorentino, intestata alla principale pieve del territorio, San Pietro in Mercato. Ebbe per insegna, come si evince dall’esemplare esistente nel palazzo dei Vicari di Certaldo, tre simboli in campo d’oro, chiaramente riferibili ai pivieri compresi nel territorio: le chiavi decussate di san Pietro per la citata pieve di Mercato, una branca di leone per quella di San Pancrazio (il cui nome vernacolare era Brancazio) e una stella per Santa Maria a Coeliaula (2).

Le colline allineate lungo la sponda opposta della media valle dell’Elsa erano invece comprese nella Lega di Gambassi, Montaione e Barbialla, l’insegna della quale era costituita da un castello torricellato di tre pezzi, a significare i tre centri che ne componevano il territorio (3).

 

 

La vicenda che più di altre segnò una decisa svolta negli equilibri della valle, tanto da essere celebrata dalle memorie dei cronisti fiorentini come un’epica vittoria, fu quella legata a Semifonte. Fondata attorno al 1180 come Terra nuova dal conte Alberto degli Alberti, sorse ben munita di torri e mura, in posizione rilevata presso l’odierna Barberino. I fiorentini ne intuirono fin da subito la potenziale minaccia per il controllo che avrebbe esercitato sulla viabilità, e nel 1182 ne attaccarono e distrussero i cantieri. Tuttavia, grazie all’azione imperiale che aveva imposto la propria autorità limitando i comitati cittadini entro le dieci miglia, l’edificazione di Semifonte poté riprendere e svilupparsi rapidamente (1185-1187), tanto da dar luogo al celebre strambotto «Fiorenza fatti in là, che Semifonte si fa città», ripetuto ossessivamente dai cronisti.

La morte di Enrico VI nel 1197 e il conseguente indebolimento del potere imperiale fece sì che i Comuni e le principali case comitali della regione si unissero nella Lega di Tuscia, dando inizio all’azione di riconquista del proprio contado. Nel 1200 il conte Alberto, indebolito e indebitato, si vide costretto a cedere a Firenze i propri diritti su Semifonte per 400 libbre pisane, confermando al tempo stesso la donazione di metà delle proprie rendite fiscali sulla Valdelsa. Dopo essersi assicurati anche l’altra metà dei diritti, detenuti da Scorcialupo di Mortennano, i fiorentini ebbero mano libera per conquistare il castello. Rimasta col solo sostegno di San Gimignano, Semifonte fu costretta alla resa nell’aprile 1202, dopo una strenua resistenza, tanto che «ebbollo i Fiorentini per tradimento per uno da San Donato in Poci, il quale diede una torre», come ricorda Villani. Nei patti di resa Firenze impose di radere al suolo l’intero insediamento, con la clausola che mai più vi sarebbe stata posta pietra su pietra. Al momento dell’incoronazione del nuovo imperatore Ottone IV (1209), Firenze aveva ormai imposto il proprio dominio di fatto su gran parte della Valdelsa.

La breve vita di Semifonte abbraccia una fase in cui l’araldica civica era appena agli albori, tanto da poter affermare con buona probabilità che la Terra valdelsana non alzò mai una propria insegna. Tuttavia il priorista di Luca Chiari, datato 1630, non manca di menzionare – insieme ad altri insediamenti abbandonati o distrutti già nel XIII secolo, come il leggendario castello di Tussinato «che fu sommerso dal mare» – anche l’insegna di Semifonte, da catalogare ovviamente nel novero dell’araldica immaginaria. Si tratta di uno stemma con una banda ondata divisa a metà (semi-) argento e azzurra che allude chiaramente alla fonte richiamata dal toponimo. Del tutto fuori luogo il bisante del Popolo fiorentino, simbolo entrato in uso mezzo secolo dopo la distruzione del castello valdelsano (1).

Nei pressi del poggio di Semifonte si sviluppò in seguito il borgo di Barberino, che fu sede di Podesteria e alzò per insegna un lupo che tiene il giglio fiorentino, come si vede nel fregio araldico del Palazzo vicariale di Certaldo (2).

 

 

L’assetto amministrativo della valle rimase sostanzialmente stabile nel corso dei secoli, fino alle riforme varate nel 1774 dal granduca Pietro Leopoldo I. Nel secolo successivo, in conseguenza del nuovo assetto amministrativo conseguente l’annessione della Toscana al Regno d’Italia, la Valdelsa fu suddivisa tra le province di Siena (Comuni di Colle Val d’Elsa, Poggibonsi e San Gimignano) e di Firenze (Comuni di Barberino di Valdelsa, Certaldo, Castelfiorentino, Montaione e Montespertoli). Nel 1917 la frazione di Gambassi Terme, distaccata da Montaione, venne eretta in Comune autonomo.

Più recentemente ha fatto discutere la proposta di costituzione di una nuova provincia con capoluogo Empoli, estesa nel Valdarno inferiore e nella Valdelsa fiorentina; proposta che ha trovato inevitabilmente fautori e detrattori, ma al momento priva di sviluppi concreti.

 

Nota e disegni a cura di Michele Turchi

 

Bibliografia

– E. Repetti, Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana, Firenze 1833-46.

– L. Passerini, Le armi dei Municipj Toscani, Firenze 1864.

– L. Borgia, Introduzione allo studio dell’araldica civica italiana con particolare riferimento alla Toscana, in Gli stemmi dei Comuni Toscani al 1860, a cura di G.P. Pagnini, Firenze 1991.

– Semifonte in Val d’Elsa e i centri di nuova fondazione nell’Italia medievale, a cura di P. Pirillo, Firenze, 2004.

– La via Francigena e altre strade della Toscana medievale, a cura di S. Patitucci Uggeri, Firenze, 2004.

– V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana, Firenze 2006, in particolare il capitolo L’organizzazione amministrativa e araldica di una “provincia” fiorentina.

– C. Tibaldeschi, Gli stemmi dei Vicari di Certaldo, Firenze 2009.

 

LEGENDA

  • stemma
  • gonfalone
  • bandiera
  • sigillo
  • città
  • altro
  • motto
  • istituzione nuovo comune

Informazioni

Nell’anno del Signore 990 l’arcivescovo di Canterbury Sigerico intraprese il viaggio di ritorno da Roma, dove aveva ricevuto il pallio dalle mani del pontefice. Per una fortunata coincidenza il diario del suo itinerario si è conservato, permettendoci di tracciarlo attraverso le ottanta tappe da lui annotate, in gran parte ancora identificabili. L’itinerario percorso, noto come via Romea o Francigena, provenendo da Siena si snodava attraverso le colline allineate sulla sinistra idrografica del fiume Elsa, con tappe a Pieve d’Elsa (Aelse), Molino d’Aiano (Sancte Martin in Fosse), San Gimignano (Sancte Gemiane), Pieve di Chianni (Sancte Maria Glan.), Pieve di Coiano (Sancte Peter Currant), Borgo San Genesio (Sancte Dionisii), prima di affrontare il passo dell’Arno presso Fucecchio (Arne Blanca).

La valle del fiume Elsa, uno dei maggiori affluenti di sinistra dell’Arno, a causa dell’andamento Nord-Sud costituisce una via di facilitazione per le comunicazioni fra Valdarno inferiore e Senese, sfruttata fin dalla più remota antichità. Gli itinerari collinari utilizzati nella tarda Antichità e nell’Alto Medioevo si spostarono progressivamente verso il fondovalle, offrendo una più facile percorribilità a mercanti e pellegrini, segnata da borghi popolosi e pieni di vita, pievi, monasteri e ospedali in grado di soddisfare ogni necessità. Questo fece sì che nel Medioevo la fertile valle fosse una delle aree più densamente popolate dell’intera Europa.

Il territorio in oggetto attrasse gli interessi di molte famiglie comitali (Alberti, Aldobrandeschi, Cadolingi, Gherardeschi, Guidi, lambardi di Staggia), la maggior parte delle quali non avevano nella valle il nucleo principale dei loro possessi. Tra queste emersero i Guidi (1), nella parte meridionale della valle, e soprattutto gli Alberti. Potente dinastia arricchitasi grazie all’acquisizione dell’eredità cadolingia, furono conti di Prato e fecero di Vernio, Mangona e Certaldo i propri centri di potere, ben posizionati lungo le principali arterie viarie e i valici appenninici. I conti Alberti – da non confondersi con l’omonima famiglia fiorentina – alzavano uno scudo partito, la seconda parte del quale si blasonava D’oro, a tre fasce d’azzurro, probabilmente la loro arme più antica (2).

 

 

Forte influenza ebbe anche il vescovo di Volterra, la cui diocesi si estendeva in riva sinistra dell’Elsa. L’influenza del suo omologo fiorentino, al quale fu soggetto il territorio sulla sponda opposta, fu invece molto più blanda.

L’indebolimento dei lignaggi feudali e la conflittualità tra potere laico ed ecclesiastico favorì, fin dai primi decenni del XII secolo, l’autonomia dei principali insediamenti, quasi tutti di origine castrense, soggetti a un rapido sviluppo grazie alle opportunità offerte dalla presenza della via Francigena. Tra questi le comunità dell’alta Valdelsa, più distanti dai centri di potere, si svilupparono precocemente rispetto al resto della valle, dove ancora era ben saldo il potere dei conti Alberti.

San Gimignano si sviluppò da un castrum, menzionato per la prima volta nel 929, fino a raggiungere una sostanziale autonomia politica sotto l’egida di una coesa aristocrazia locale, che permise lo sviluppo delle attività mercantili, prima fra tutte il commercio dello zafferano, che raggiunse piazze anche molto lontane. La cittadina, che ancora conserva parte del suo turrito aspetto medievale, consolidò tuttavia il proprio contado verso le colline volterrane, piuttosto che verso la valle dell’Elsa.

Come evidenzia il fregio araldico della Maestà di Lippo Memmi, nella sala del Consiglio del locale Palazzo del Podestà (1317), San Gimignano faceva uso di insegne distinte per il Comune e per il Popolo. La prima, di più antica origine, era costituita da una balzana rosso-oro (1), alla quale la seconda sovrapponeva la figura di un leone che tiene lo scudetto con i gigli di Francia (2).

 

 

Lo sviluppo di Colle (oggi Colle Valdelsa) fu invece legato essenzialmente alle attività artigianali, specializzate in particolare nella lavorazione della lana, della carta e del vetro; vocazione manifatturiera che si concretizzò anche in importanti opere pubbliche, prima fra tutte la canalizzazione del corso dell’Elsa. Entrata nell’orbita fiorentina verso la fine del XIII secolo, Colle mantenne la propria libertà comunale fino alla sua aggregazione al Granducato mediceo. La cittadina portava per insegna una testa equina, che alludeva al toponimo per mezzo dell’assonanza tra collo e Colle (1).

Poggibonsi (Podium Bonizzi), già esistente come castrum a protezione della potente abbazia di Marturi, fu invece rifondata nel 1155, al tempo del passaggio del Barbarossa dalla Toscana, grazie all’iniziativa del conte Guido Guerra con il sostegno determinate del Comune di Siena. Posizionata all’altezza della diramazione della Francigena diretta a Firenze, la sua fondazione ebbe un senso strategico-politico dichiaratamente antifiorentino, nonostante si trovasse compresa nella diocesi della città del giglio. La felice posizione la portò a prosperare, fino a contare cinquemila abitanti nel XIII secolo.

Ebbe per insegna un leone d’oro in campo rosso, richiamo evidente all’arme dei fondatori, i conti Guidi. All’epoca della sottomissione a Firenze, sottoposta al Vicariato di Certaldo, aggiunse al proprio stemma i gigli angioini (2).

 

 

Nella media Valdelsa si sviluppò fin dagli inizi del XII secolo il borgo di Certaldo, a valle di un castello dei conti Alberti. Assoggettata a Firenze fin dal 1198, nel XIII secolo fu sede di Lega e Podesteria, e dal 1415 di uno dei tre Vicariati del contado, quello di Valdelsa. Alzò per insegna la figura di uno dei propri prodotti più tipici, la cipolla rossa, che si vede rappresentata anche nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Nel locale Palazzo dei Vicari la cipolla si trova più volte inserita in un partito bianco-rosso, aumentato dal Capo d’Angiò (1). Il Vicariato della Valdelsa ebbe una insegna propria, costituita dalla figura di un leone al naturale, accantonata dal giglio fiorentino (2).

 

 

Discendendo la valle si trova Castelfiorentino, dove fin dal 1126 si rileva un condominio signorile dei conti Alberti e del vescovo fiorentino. Denominato in origine Castel Timignano, fu centro fortificato di rilievo, del quale si hanno memorie fin dal X secolo. Presso il castello si sviluppò un popoloso borgo, favorito dalla posizione lungo l’importante via Francigena, alla testata del ponte che supera l’Elsa.

Sull’origine del nome, il geografo Repetti ipotizzava che «forse questo paese portò lo specifico di Fiorentino dalla giurisdizione civile e religiosa che vi ebbero di buon ora i vescovi di Firenze, se non piuttosto lo derivò dall’essere sul confine del contado dipendente da quella stessa città». Precocemente entrato nell’orbita di Firenze, fin dal XIII secolo ottenne da questa per la fedeltà costantemente dimostrata la concessione della propria arme piena (1).

Sulle colline che separano le valli dell’Elsa e della Pesa, al centro di una zona particolarmente votata alla produzione vinicola, sorge invece Montespertoli. Signori del borgo furono i discendenti di un ramo degli Alberti, che presero nome dalla località. Fin dai primi decenni del XIV secolo Montespertoli fu sede di una delle Leghe del contado fiorentino, intestata alla principale pieve del territorio, San Pietro in Mercato. Ebbe per insegna, come si evince dall’esemplare esistente nel palazzo dei Vicari di Certaldo, tre simboli in campo d’oro, chiaramente riferibili ai pivieri compresi nel territorio: le chiavi decussate di san Pietro per la citata pieve di Mercato, una branca di leone per quella di San Pancrazio (il cui nome vernacolare era Brancazio) e una stella per Santa Maria a Coeliaula (2).

Le colline allineate lungo la sponda opposta della media valle dell’Elsa erano invece comprese nella Lega di Gambassi, Montaione e Barbialla, l’insegna della quale era costituita da un castello torricellato di tre pezzi, a significare i tre centri che ne componevano il territorio (3).

 

 

La vicenda che più di altre segnò una decisa svolta negli equilibri della valle, tanto da essere celebrata dalle memorie dei cronisti fiorentini come un’epica vittoria, fu quella legata a Semifonte. Fondata attorno al 1180 come Terra nuova dal conte Alberto degli Alberti, sorse ben munita di torri e mura, in posizione rilevata presso l’odierna Barberino. I fiorentini ne intuirono fin da subito la potenziale minaccia per il controllo che avrebbe esercitato sulla viabilità, e nel 1182 ne attaccarono e distrussero i cantieri. Tuttavia, grazie all’azione imperiale che aveva imposto la propria autorità limitando i comitati cittadini entro le dieci miglia, l’edificazione di Semifonte poté riprendere e svilupparsi rapidamente (1185-1187), tanto da dar luogo al celebre strambotto «Fiorenza fatti in là, che Semifonte si fa città», ripetuto ossessivamente dai cronisti.

La morte di Enrico VI nel 1197 e il conseguente indebolimento del potere imperiale fece sì che i Comuni e le principali case comitali della regione si unissero nella Lega di Tuscia, dando inizio all’azione di riconquista del proprio contado. Nel 1200 il conte Alberto, indebolito e indebitato, si vide costretto a cedere a Firenze i propri diritti su Semifonte per 400 libbre pisane, confermando al tempo stesso la donazione di metà delle proprie rendite fiscali sulla Valdelsa. Dopo essersi assicurati anche l’altra metà dei diritti, detenuti da Scorcialupo di Mortennano, i fiorentini ebbero mano libera per conquistare il castello. Rimasta col solo sostegno di San Gimignano, Semifonte fu costretta alla resa nell’aprile 1202, dopo una strenua resistenza, tanto che «ebbollo i Fiorentini per tradimento per uno da San Donato in Poci, il quale diede una torre», come ricorda Villani. Nei patti di resa Firenze impose di radere al suolo l’intero insediamento, con la clausola che mai più vi sarebbe stata posta pietra su pietra. Al momento dell’incoronazione del nuovo imperatore Ottone IV (1209), Firenze aveva ormai imposto il proprio dominio di fatto su gran parte della Valdelsa.

La breve vita di Semifonte abbraccia una fase in cui l’araldica civica era appena agli albori, tanto da poter affermare con buona probabilità che la Terra valdelsana non alzò mai una propria insegna. Tuttavia il priorista di Luca Chiari, datato 1630, non manca di menzionare – insieme ad altri insediamenti abbandonati o distrutti già nel XIII secolo, come il leggendario castello di Tussinato «che fu sommerso dal mare» – anche l’insegna di Semifonte, da catalogare ovviamente nel novero dell’araldica immaginaria. Si tratta di uno stemma con una banda ondata divisa a metà (semi-) argento e azzurra che allude chiaramente alla fonte richiamata dal toponimo. Del tutto fuori luogo il bisante del Popolo fiorentino, simbolo entrato in uso mezzo secolo dopo la distruzione del castello valdelsano (1).

Nei pressi del poggio di Semifonte si sviluppò in seguito il borgo di Barberino, che fu sede di Podesteria e alzò per insegna un lupo che tiene il giglio fiorentino, come si vede nel fregio araldico del Palazzo vicariale di Certaldo (2).

 

 

L’assetto amministrativo della valle rimase sostanzialmente stabile nel corso dei secoli, fino alle riforme varate nel 1774 dal granduca Pietro Leopoldo I. Nel secolo successivo, in conseguenza del nuovo assetto amministrativo conseguente l’annessione della Toscana al Regno d’Italia, la Valdelsa fu suddivisa tra le province di Siena (Comuni di Colle Val d’Elsa, Poggibonsi e San Gimignano) e di Firenze (Comuni di Barberino di Valdelsa, Certaldo, Castelfiorentino, Montaione e Montespertoli). Nel 1917 la frazione di Gambassi Terme, distaccata da Montaione, venne eretta in Comune autonomo.

Più recentemente ha fatto discutere la proposta di costituzione di una nuova provincia con capoluogo Empoli, estesa nel Valdarno inferiore e nella Valdelsa fiorentina; proposta che ha trovato inevitabilmente fautori e detrattori, ma al momento priva di sviluppi concreti.

 

Nota e disegni a cura di Michele Turchi

 

Bibliografia

– E. Repetti, Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana, Firenze 1833-46.

– L. Passerini, Le armi dei Municipj Toscani, Firenze 1864.

– L. Borgia, Introduzione allo studio dell’araldica civica italiana con particolare riferimento alla Toscana, in Gli stemmi dei Comuni Toscani al 1860, a cura di G.P. Pagnini, Firenze 1991.

– Semifonte in Val d’Elsa e i centri di nuova fondazione nell’Italia medievale, a cura di P. Pirillo, Firenze, 2004.

– La via Francigena e altre strade della Toscana medievale, a cura di S. Patitucci Uggeri, Firenze, 2004.

– V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana, Firenze 2006, in particolare il capitolo L’organizzazione amministrativa e araldica di una “provincia” fiorentina.

– C. Tibaldeschi, Gli stemmi dei Vicari di Certaldo, Firenze 2009.

 

LEGENDA

  • stemma
  • gonfalone
  • bandiera
  • sigillo
  • città
  • altro
  • motto
  • istituzione nuovo comune